Ce texte anonyme du XIIIe siècle est une adaptation résumée, en italien, du Roman de Troie de Benoît de Sainte-Maure.


Perciò che sovente ne siamo in materia diremo la cagione per che Troia fue distrutta. In Grecia fue uno ricco uomo re, che era chiamato Pelleus, essappiate che elli fue il padre d'Accilles. Avenne, anzi che Accilles fosse nato, che questo Pelleus avea uno nepote maravilgliosamente prode e ardito e di grande sengnioria, del quale Pelleus avea invidia e paura, avengnia che elgli fosse suo nepote, temendo chesse elli vivesse chennol gli tolgliesse il reame. E in quel tempo vivea Ercule il forte. Il nepote di Pelleus, del quale noi parliamo, avea nome Giason, che molto era bello e pieno di vertù e avea più tempo che Ercule.

Gianson fue filgliuolo de[r]re Ieson, fratello derre Pelleus, onde Pelleus tenea li due reami, perciò che Enson era morto e perciò temea di Gianson. Ercules fue figliuolo di Giuppiter, uno grande giogante che per sua forza era chiamato loddio del Cielo. Giason ed Ercule si dilettavano molto insieme ed erano molto amici e compangni. E in quel tempo era innuna isola di Colcos uno ricco re, il quale avea una bella filgliuola, la quale avea nome Medea e non avea più erede. Il quale pensava di maritarla al più alto uomo e al più forte e al più prode che trovar si potesse. Sì fecie chella filgliuola studiò nell'arte di nigromantia e apresene tanto che più non se ne potea sapere. A quelli medesimi maestri che insegnato l'aveano fece fare di tutto suo oro ed avere e pietre preziose uno montone d'oro, il quale in latino è appellato velus aureum. Quello tosone d'oro fece mettere in una bella isoletta di mare, la quale era molto presso all' isola di Colcos.

E fece per arte di nigromantia che quello montone era guardato da tori, i quali gittavano per la bocca fuoco efflamma ; e serpenti e altri incantamenti erano alla guardia, sicché nullo si potea di quello montone apressare, che incontanente non fosse morto. E quando gl'incantamenti furono tutti fatti e formati, irre di Colcos fece assapere che qualunque potesse quello montone per forza conquistare, elli gli darebbe la figliuola sua e mezzo il suo reame. Molti nobili cavalieri di diverse contrade vi periro ; e certo nullo passava in quella isola che vivo ne tornasse. Quella maravilglia fue detta e saputa per tutta Grecia. A queste novelle si pensò irre Pelleus che s'elli potesse tanto fare che Giason suo nepote volesse andare in quella isola per lo tosone conquistare, che mai non tornerebbe, e in tal maniera si disferebbe di lui, e propuose di conducerlo acciò. Allora ordinò di tenere nella sua milgliore cittade una grande corte e fece lungamente festa con tutti li suoi baroni e larghi doni vi fece e grande spese e al dipartire della corte sì parlò innudienzia di tutti a Giason e disse :

« Io tengno la terra cheffue di Eson tuo padre, la quale dee essere tua per ereditaggio, la quale presto sono di rèndellati, però che omai se' in etade. E perciò chennullo sia il quale dica chettu non sia dengno di terra tenere, settu volessi andare acconquistare lo montone dell'oro nell' isola di Colcos, io ti donerò assai avere, arme e compangnia e alla tua tornata t' accrescierei il tuo ereditaggio. Conciò sia cosa che io sono sicuro chettu il conquisterai e di ciò ti crescerà grande pregio e lode. E non ti spaventare di ciò che molti vi sieno periti e di ciò chefforte cosa è affare, peroe che se questa fosse cosa la quale catuno oppiue potessero fare, già damme non avresti consilglio d'andarvi e di ciò pregio non si aquisterebbe. Ma perciò che grande onore e pregio ne verrà atte e attutti quelli del tuo lignaggio, perciò ti priego chettu vi vadi ». Acciò rispuose Giason e disse : « Segnor mio, di ciò che voi mi dite io vi rendo grazie e merciè, sì della promessa essì del consilglio. Essappiate chennel vostro rengno io non giacerò più di dodici die anzi ch'io muova per conquistare lo tosone o io vi morrò. Esse in questa corte à alcuno valoroso giovane cheffare mi voglia compangnia, io il ne richeggio e prego ».

Acciò si proferse Ercules e Meleagier e più altri giovani cavalieri e donzelli. Incontanente i[r]re Pelleus fecie loro apparecchiare tutto lo suo tesoro ed armi. E dipartita la corte, Giason fece apparecchiare una bella nave e fornilla di ciò che attale compangnia si comvenia.

Molti sono che dicono che Giason fue il primo uomo che entrò innalto mare. E siccome elli ella compangnia sua furono innalto mare, silli prese una forte tenpesta che molto gli menò per diverse contrade. Ma poi che il mare fue appaciato, silli portò fortuna al porto di Troia, della quale città era chiamato il re Laomedon ed era molto innanzi di tenpo. Il quale avea uno fìlgliuolo che era chiamato Priamus, che era coronato d'uno grande rengno per la forza Laomedon, ed era in quello reame in quel tenpo che Giason arivò colla sua conpangnia al porto di Troia a guerreggiare uno forte castello, il quale egli avea preso e ritornava a Troia con bella compangnia. Poi che Giason essua compangnia furono arivati, si uscirono della nave nobilemente vestiti e parati e prendeano aria ed agio siccome gente affannata del tormento del mare.

E in tale maniera diportandosi, uno grande prenze della città di Troia con sua compangnia andava affalcone e vidde gli Greci alla marina che detta avemo in sue la riva. E in quel tenpo erano li Greci di tanta nominanza chettutte le contrade intorno di loro aveano soggiogate, onde molto erano temuti. Quando quel sengniore di Troia gli vidde, incontanente si tornò in Troia al palagio di Laomedon e disse al re, presente la sua baronia : « Sengniore, bene avete udito contare come li Greci conquistano intorno di loro essengnioreggiano, essapete che [chi] più à piue desidera d'avere. Egli seguitano la costuma del luccio chettanto mangia di piccoli pesci chessono intorno di lui, che elli diventa maggiore. Ora anno li Greci tutto conquistato intorno di loro; si vengono acconquistare le vostre terre e vannola provedendo là su la marina, essono più di dugiento de' più arditi e milgliori di tutta Grecia ». Quando irre Laomedon intese ciò, sì disse : « Per folli e per matti gli tengno che i[n] mia terra sono entrati sanza mia saputa; essappiano che questa nonne terra da comquistare cosi di leggero come l'altre ; così siamo noi d'aquistare pregio ellode come sono elli e forti e ricchi e poco li dee dottare il grande linguaggio di Dardano ». Allora chiamò irre uno de' suoi baroni e dissegli che incontanente andasse alla riva e a quelli gientili uomini che sono venuti di Grecia dite che non è bello di ciò chessanza mia saputa egli sono venuti in mia terra e dite loro che incomtanente si partano, chesse attendono tanto che rimandarvi mi convengna, e' converrà che se ne partano ad onta, e detto fue fatto. E quando il messaggio fue giunto alla riva, domandò quale fosse il sengniore della compangnia e mostrato gli fue Giason, il quale lo messo salutò cortesemente e contò loro l'anbasciata da parte derre. Li Greci si comsigliaro in su ciò, eppoi rispuosero ; « Direte al vostro sengnore che grande mercè [gli dobbiamo] della bella accoglienza cheffatta ci à in sua terra, essappiate chesse elli o alcuno dassua parte fosse capitato nelle nostre terre, cierto più onorevolemente l'avremo ricevuto ; mappoi chella forza nonne ora nostra, si ubbideremo li suoi comandamenti. Ma noi, chenno arriviamo qui per nullo male fare, avremmo bene, se per male fare vi fossimo mossi, tanta e tale giente condotta, che poco pregeremmo sue minacce. E sappie di vero chesse fortuna ci rimena di là ove noi andiamo, noi il torneremo a vedere accapo d'uno anno, effaremo nostro podere di prendere albergo mal suo grado nel piue bello della sua cittade, e del saluto il quale ci manda nullo bene gli verrà, e da ora innanzi si guardi di noi e de' nostri amici ». Adunque si ricolsero alla nave e il vento die nelle vele che gli pinse innalto mare verso Colcos. Il messaggio tornò e ricontò a re Laomedon la risposta di Greci : e il re che poco pregia loro parole rispuose : « Faccianne il peggio che possono » ; e già perciò nulle guerragioni apparecchiò centra ciò.

Tanto navicaro li Greci che elli arrivano all'isola di Colcos. E quando irre di quella isola seppe la venuta de' Greci, sì andò loro allo incontro con bella compangnia e con grande onore e seco menò Medea sua fllgliuola e menolli nel suo albergo. Irre domandò quale era quelli chello tosone era venuto a conquistare, elgli Greci gli mostrano Giason. E[r]re guardando e imaginando sua forma e sua bieltà, silli disse : « Giason, mio caro amico, grande dammaggio e peccato sarebbe sella tua giovanezza perisse di quella morte cheppiù altri anno sostenuta ; però vi priego in lealtade e fede chesse tue vuoli del mio avere, chettu ne tolghi di ciò che mestiere ti sia e quando sarai soggiornato erriposato al tuo piacere, sì potrete tornare agli aIberghi vostri ». Queste parole gli disse i[r]re più volte nella presenzia di tutti li Greci. Acciò rispuose Giason ch'elli nol pregasse di suo disinore, che poi che elli avea l'opera intrapresa, egli la menerebbe affine, quale chella fine fosse. A queste parole era presente la figl[i]uola derre, cheffisamente rimirava la bellezza di Giason. E riguardandogli, siggli entrò si maravigliosamente nel cuore, che al postutto s'innamorò di lui. E pensavasi che grande danno sarebbe se elli perisse per si fatta disaventura. Sì disse che ella vi metterebbe consiglio, che che le ne potesse avenire. Quello die fue tutto innallegrezza e sollazzo, e quando fue tenpo d'andare addormire, furono messi in ricche camere e onorevolmente addormire in bellissimi letti. E intanto Medea si prese guardia in quale camera e letto dovea Giason dormire. Eppoi che tutti furono alletto, allora chella donzella pensò chettutti dormissero, si usci celatamente della camera e venne al letto di Grason e poi li disse il suo nome, ecchi ella era, ecche grande pietà le prendea di lui. Esse elli le volesse promettere e tenere lealtà, ella gli aiuterebbe a diliverarlo del pericolo ove egli era entrato e tanto farebbe chelgli aquisterebbe lo tosone. Giason le rispuose e promisse tanto che Medea gli diede unguenti, erbe, pietre preziose, incantamenti, sorti e brievi e diverse gienerazione di cose, per li quali li tori e gl'incantamenti, che a guardia del tosone erano, si potessero distruggiere e confondere, e insengnogli come egli ne lavorerebbe. Ed egli le promise di menàllane in sua terra e sposerebela e quella notte fece della detta Medea tutto suo piacere e guardò bene e ritenne ciò che detto e dato gli avea. La donzella si dipartì la mattina quetamente dallato a Giason, ed Ercules e gli altri Greci si levarono. Giason domandò l'arme e armato entrò tutto solo innuna navicella per andare nell'isoletta ove era lo tosone per far suo podere di conquistarlo. Assai il pregarono quelli dell'isola di Colcos e tutti li baroni del rimanere. Acciò Giason non intese, massolo nell'isoletta passò. Tanto fece Giason con sue erbe essorti e con l'armi, chelli tori domò e ongni incantamento vinse e con lo tosone tornò all'isola di Colcos. Di ciò si maravilgliò molto il re ella gente tutta, e ben si pensò il re che avea dato alcuno aiuto la filgliuola. Ma di ciò non fece alcuno senbiante e pensossi d'assalire li Greci di nocte e di torre loro lo tosone. Ma quando irre credette chelli Greci andassero addormire, ed egli si partirono e portarne lo tosone e menarne Medea figliuola del re, ecco molta allegrezza ritornaro illoro terra. Molto fecie il re Pelleus grande festa al nepote e rendelgli tutta la terra che allui s'aparteneva.

Quando gli Greci furono alquanto riposati, sissi ramaricaro e dolsonsi colli loro amici della villania che il re di Troia avea lor fatta ; della qual cosa tutti li baroni furono fortemente irati e promisero loro aiuto eccompangnia e dissero d'andare colloro per vendicare ciò. E sanza dimoro assenbiaro quanto poterono di giente co maravilglioso navilio eccon grande forza d'arme e giunsero al porto di Troia, e quando si faciea die isciesero in terra e montaro accavallo e andaron verso la città.

E Ercules disse loro : « Sengniori, noi dovemo sapere chelgli Troiani sono cavallerosa giente e dotta, per che io lodo chella metade di nostra giente e io colloro insieme ci ripongniamo nascosamente anzi che quelli della cittade se n'aveggiano. Ettu, Giason, coll'altra metade, ad alte grida, a spiegate bandiere andrai verso la terra ; e quando gli Troiani usciranno fuori e voi lasciatevi cacciare tanto chennoi entriamo tralloro ella cittade, ennoi poi correremo verso quella, della qual cosa se troveremo le porte aperte sì entrerremo dentro e penseremo d'abbattere irrigolglio de' nemici : esselle porte fieno chiuse sittorneremo e percoteremo loro addosso ».

Eccosì s'ordinò e fece. Quando gli cittadini sentirono e videro la giente armata presso della terra, si 'l fecero assentire al re Laomedon e irre fece armare sua giente, ed egli medesimo s'armò. Vero è che irre Priamo nonnera ancora tornato dell'oste ove ito era colla milgliore e maggiore parte della cavalleria di Troia. Ma quando il re Laomedon fue armato con quella gente che nella città era, fece per suo folle ardimento e orgoglioso cuore aprire le porte della cittade e percossero a' Greci e quegli gli ricevettono vigorosamente con grande occisione d'una e d'altra parte. E incontanente che tutti li Troiani furon tutti della città usciti, anzi chelle porte fossero richiuse, Ercules ella sua compangnia, chennascossi erano, entraro nella terra e uccisero sanza pietà quanta giente vi trovaro. Ma irre Laomedon si combattea di fuori con Giason vigorosamente, non sappiendo il grande danno che Ercules faceva dentro nella cittade. Allora uno cavaliere della cittade venne infine arre Laomedon, ed era ferito d'una lancia per lo corpo e d'una spada nella testa e d'una saetta per lo fianco, il cui asbergo era tutto dirotto e smagl[i]ato, lo scudo squatrato e 'l cavallo istraccato e lento, e disse forte come egli poteo : « A[h]i, re Laomedon, in mala ora uscisti oggi fuori della cittade ! Mai non si ristora il danno che oggi ài ricevuto: li Greci sono dentro alla cittade, chettagliano, uccidono e dironpono, ennon risparmiano né piccolo né grande, vecchio né femina ». Ecciò diciendo cadde morto appiè de[r]re Laomedon. Ecciò veggiendo il re, lo cuore gli afflammò d'ira, di maltalento e di dolore e fecie le bandiere volgiere verso la cittade. Macciò non montò guari, che Ercules gli venne allo 'ncontro e diegli sì grande colpo della spada, che dallo 'nbusto gli partì la testa. Quando il sengnore fue morto, piccolo ritengno ebbe sua giente, che quasi tutti fuoro morti. Or fu laccittà presa, tagliata la giente, le pulcielle rapite, gli garzoni presi, effue presa la figliuola derre Laomedon, la quale domandò uno giovane di Grecia in guiderdone di ciò ch'elli fue lo primo chennella cittade entrò. Ella gli fue volentieri data, della quale poi naqque Aiax, che si fue uno valente cavaliere e poi fece grande danno, avengna chennol dovesse fare, però che nepote era derre Priamo. In tal maniera fue la prima volta distrutta la città di Troia.

Quando la cittade fue fortificata e perfetta di ciò ch' è detto e i[r]re Priamo tenne general parlamento a trovare il modo della vendetta contra gli Greci dell'oltraggio ricivuto, e nel consilglio si diliberò che in Grecia si mandasse nobile, bella essavia anbascieria, per li quali fosse cortesemente domandata la filgliuola derre Laomedon essuora derre Priamo, la quale era stata presa ed era tenuta in servaggio. Ma derre e della giente che morti erano stati non fecero alcuna menzione e poi chella donzella sarà dimandata, se renduta sia, basti, e se non, si rimanga in nuovo consilglio, e preso il consilglio sì vi mandarono tale che compiutamente per tutta Grecia fecie l'anbasciata, avengna che non bello vi fosse ricolto, ma vituperosamente Igli fosse risposto ; onde e' ritornato in Troia contò in che modo ricevuto era stato, ella risposta di Greci. Nel tenpo chell'anbasciata e risposta detta fue in Troia per li detti anbasciadori ecche mandati furono in Grecia, in quel mezzo Paris, filgliuolo derre Priamo, era ito a vedere alle sue colture il guernimento suo e trovò ne' prati sotto una roccia d'accosta a una chiara fontana uno bellissimo e grasso toro, il quale era strano della greggia de' suoi, eccon uno de' suoi si combatteva ; de' quali lungamente durò la zuffa. Paris stava e guardava li tori sanza giovare o nuocere a nullo. Alla fine il toro della greggia di Paris fue vinto. Ciò veggiendo Paris fecie una ghirlanda di fiori e puosela in capo allo strano toro in sengnio di vettoria, e, ciò saputo, molto ne fue Paris lodato e tenuto a giusto. Un altro dì andò Paris accacciare nella selva, e quando fue il grande calore nel mezzo dì, si partì Paris da' compangni e andò a una chiara fontana maravilgliosamente dilettevole ebbene assisa, nel quale luogo gli uccelli riparavano con dolci canti. Quivi Paris si riposò ellavò le mani e rinfrescossi il viso ; poi piegò una sua guarnacca e puosela allato alla fontana, e posta la guancia sopra la guarnacca s'addormentò. Un'altra fontana non meno bella di quella era più presso, alla quale erano venute addonneare tre dee, l'una delle quali fue madonna Giuno, l'altra fue madonna Pallas, la terza madonna Venus, ellà si diportavano, e ragionando intra loro avenne che nel mezzo di loro cadde una palla d'oro ove era scritto pulchriori detur, cioè alla più bella sia data. Quando le dee videro la palla, lette le lettere, ciascuna disse che allei dovea esser data, assengnando ciascuna ragioni per sè, e nata tralloro la discordia alla quale data esser dovesse, l'una di queste dee disse : « Non è bella cosa che per tale cagione sia discordia trannoi, ma troviamo alcuno soficiente acciò giudicare, checciò diffinisca ». Ecciò accordato intra loro, si mossero a trovare acciò giudicatore ; e andando per la foresta s'abbattetero alla fontana ove Paris dormia. Allora disse l'una all'altra : « Vedete, vedete Paris qui, il filgliuolo del re Priamo ; piue leale di lui non potremo noi trovare ed elli il mostrò bene alla battalglia del toro istrano che vinse il suo, quello che elli ne giudicò ; epperciò io lodo chennoi ne facciamo lui giudicatore ». E acciò s'accordaro. Allora destaro Paris, alle quali elgli fecie maravilgliosa gioia ed onore. Elle gli comtarono la quistione che intralloro era e diederli la mela dell'oro e disser chella desse a quella che allui fosse aviso che più dengna ne fosse. Madonna Giuno lo pregò molto che allei la donasse, ed ella gli promise aiuto quante volle bisongno gli fosse, e al suo soccorso metterebbe tutte le vertù del cielo. Madonna Pallas gli promise, con ciò sia cosa che ella sia dea di battalgl[i]e, che gli darebbe senno e vigore, e mai non sarà che ella non sia al suo aiuto contro a tutte gente. Madonna Venus, conta e bella, nobile e piacente, sottrattosa e smovente, gli promise tutta sua forza e disse : « Paris, settu se' leale uomo, tu mi dei la mela donare, per ciò che alla più bella debbe essere data. Settu mi fai ragione io l'avrò, essettu fai ch'io l'abbia, io ti donerò bello dono. Ciò fia chettutte le donne chetti vedranno t'amaranno e qualunque tue vorrai, sitti darò ; e ancora vedi che io sono la più bella ». Alla fine fecie tanto che Paris le diede la mela, onde l'altre due dee n'ebbero grande ira.

Quando gli 'nbasciadori di Troia furon tornati di Grecia, siddissero al re Priamo lo convenente dell'opera ; onde il re Priamo fece tutti li suoi baroni ragunare e ricordò loro l'onta e 'l danno ell' oltraggio che gli Greci aveano lor fatto, eccome aveano il paese guasto, la cittade arsa, gli uomini morti, elle loro belle parenti rapite. « E ora mi diniegano la mia suora, la quale in servaggio ànno, per le quali cose molto ne dovemo turbare ne' nostri cuori e prendere vigore e talento di vendetta. Essopra ciò ne richeggio il vostro consilglio ». Lo consilglio fue grande e molto si disse intorno di ciò. Uno barone consilgliò che il più valente di Troia andasse con grande forza di gente in Grecia, essi procacciasse di dommaggiare Grecia e di vendicare la ricievuta onta. « E perciò chelgli Greci sono fieri e oltraggiosi, quando averanno ricievuto dànno, si penseranno di ritornare in questo paese con grande isforzo per vendetta fare. Onde io lodo che uno valente barone vada per tutte le nostre contrade sommovendo gente per essere alla difesa di noi in modo che mattare possiamo l'orgolglio greco ». Onde tutti s'accordaro a questo consilglio e grande ragionamento v' ebbe a sciegliere quale fosse suficiente d'andare in Grecia. Alquanti s'accordaro che Ettor v'andasse per lo vigore che era illui. Altri il contradiavano però che elli era il maggiore, per lo dubbio d'esser preso. Casandra, la filgliuola del re, che molto sapeva d'arti, disse in presenza di tutti : « Vada in Grecia quale avvoi parrà chessoficiente sia, ma nel mio dire a postutto niego l'andata di Paris, perchè io so di vero che se Paris vi va e tolgl[i]e mogl[i]e di Grecia, ecconviene che questa cittade ne sia diserta ». Appresso il dire della donzella si levò uno antico troiano, che bene avea ciento quaranta anni e disse : « Sengnori, il mio padre vivette bene treciento anni, e quando elgli venne ammorte, simmi disse: Filgliuolo, tu vedrai la cittade di Troia, la più bella, più forte e maggiore del mondo, e allora era assai piccolo, essi vedrai uno bello giovane chessarà filgliuolo derre Priamo e averà nome Paris, il quale se va in Grecia e prende moglie, di là tutta Troia ne sarà distrutta ». Poi disse Deifebus filgliuolo derre Priamo : « Padre essengnore mio, non pensare perch' io sia prete che io vengna meno a voi o all' aiuto della vostra cittade : e molto che io non sia cavallerosa persona, la buona volontade ci [è] pure e al bisongnio si vedrà. Però dico che Paris non vada in Grecia, con ciò sia cosa checcome detto è la città di Troia ne dee essere distrutta e vedrete disfare e ardere, rubare e uccidere vostra amistà. Non pertanto mentre che io mi potrò tenere in sella, già la mia vita non sarà risparmiata contro annullo dubbio ». Apresso disse Paris così : « Sengnori, nullo puote andare im Grecia, il quale possa l'andata meglio fornire di me, con ciò sia cosa che io ò l'aiuto di madonna Venus, la quale m' à promesso d'essere al mio aiuto ove il bisongnio fia, e cierto folle sarebbe chi quest'opera credesse meglio trarre abbuono fine di me, con ciò sia che io abbia così fatto aiuto. E io sarei simigliantemente molto da biasimare se per lo consilglio d'una femina o d'uno vecchio o di prete lasciassi così fatta inpresa, poi che i' ò la promessa da quella dea ; ma femina, né prete non disiderano battalglie. Dunque mandatemi in Grecia, che io so di vero che io avrò la prima cosa la quale io domanderò alla dea Venus. E peroe trovate chi sia quelli che vada sommovendo gente per menare al soccorso e difesa della cittade, che io mi vo ad apparecchiare e fornire per mar passare con quella compangnia che bisongnio fia ». E queste parole dette si partie del consilglio per fornire la 'npresa. Poi che Paris si fue partito, istettero gli baroni grande pezza sanza parole dire e apresso grande pezza parlò il re Priamo in questo modo : « Poi che Paris ae presa questa sicurtade, io non ci veggio altro consilglio se non che, poi che andar vuole, vada da parte di buona ventura, e non ci à più affare se non di pensare quale sia soficiente d'andare arrichiedere li nostri amici, che vengnano al nostro soccorso ». Per consentimento di tutti fu l'accordo che 'l valente Ettor andasse arrichiedere gli amici. Il quale richiese amici, parenti essuoi subbietti, essommosse re, duchi, conti, prenzi, marchesi, primati, baroni, castellani, visconti, ricchi cavalieri e valenti donzelli e aprovati sergienti per diverse contrade, tutti dotti di guerra belli e bene armati, e una parte ne menò seco ell'altra lasciò che venisse apresso lui, perciò chesse tutti insieme fosser venuti, no avrebbe(ro) potuto sostenerli il paese di vettualglia, che cierto fue giente sanza numero. Quando Paris ebbe le navi apparecchiate e le vele poste al vento, cominciaro annavicare verso Grecia com molta volontà e quando furono innalto mare si scontrarono innuna molto bella nave, nella quale era il re Menelaon, il quale andava per provedere sue castella. Da ongni parte aveva quivi orgolglio, si ne' Troiani come ne' Greci. Elli passarono assai presso, nengià l'una parte innalcuno modo non disse parola all'altra, bene che gli Greci conosciessero che elli erano Troiani, e quelli di Troia che elli erano Greci. Mentre che Paris andava verso Grecia, li Troiani federo maravilgliosi e ricchi sacrifici, e feciono nella cittade una maravigliosa chiesa arreverenza della dea Pallas, acciò che in guiderdone di quella opera ne renda loro ricco merito. Et ella mandò loro una bandiera di maravilglioso merito ; nullo sapea giudicare se ella era di lino o di lana o di seta, ma nullo vide mai più bella e non si poteo sapere onde ella venne. Ma bene dicievano li Troiani chedda cielo era venuta, che da alti venne in su l'altare veggiente tutto il popolo. Apresso fue una bocie udita diciente : « Madonna Pallas vi manda questa insengna, essì vi manda che voi la guardiate innonore erriverenza, che mentre che voi l'avrete non sarete vinti ». Onde molto si rallegrarono li Troiani ed ebbervi grande speranza. Molto fue bella e nobile la città di Troia; ella sengnioreggiava sette reami, in questo modo che sopra catuna delle sette porte della terra avea una alta e bella torre co molte altre meno alte torri e alte mura e forti aggiunte assè. In ciascuna torre abitava uno re, ella sua baronia era tutta ne' casamenti giungnenti ad essa.

Tanto navicò Paris essua compangnia, che elli arrivò in Grecia presso d'uno nobile castello, il quale era del re Menelao. Di sopra dal castello avea assai presso uno boschetto, nel quale era uno tenpio di Venere di grande nominanza e ricchezza pieno, e molto il teneano uomini effemine della contrada in grande reverenza, e dicienno che più largamente dava la dea Venus in quel tempo quello che con reverenza era chesto che innullo altro, e perciò erano costumati di venire a questa festa la maggiore parte di Grecia e recavano ricche offerende e grande oblationi. E Paris arrivò al porto la villa della detta festa, alla quale era giente sanza numero, ella chiesa era ornata di nobili addornamenti e ricchi tesori. Paris uscì della nave conto e nobile eccon ricca compangnia. Tutti quelli del castello gli si fecero incontro per sapere chi fosse ; fue risposto : « Questi è Paris filgliuolo derre Priamo di Troia, il quale viene per anbasciadore in Grecia ». Paris essua compangnia passarono oltre per lo castello e passando molto ***andò provedendo. E poi che elli fuoron giunti al tenpio della dea Venus e viddero le belle offerende elli belli doni, li quali li Greci facieano ad onore della dea...

A quella festa era venuta la bella Elena molgl[i]e derre Menelao, che era de' più alti re di tutta Grecia, la quale molto avea irriverenza laddea Venus. Quello re che Paris avea incontrato in mare era il marito della reina Elena, la quale molto v'era venuta contamente con nobile conpangnia. Ella fue di bella statura, di convenevole grandezza, lunga e schietta, convenevolmente carnuta, adatta, snella, bianca come aliso, pulita come ivorio, chiara come cristallo e colorita per avenente modo, capelli biondi e crespi e lunghi, gli occhi chiari, amorosi e pieni di grazia, bruni di pelo e bassi, le cilglia sottili e volte, il naso deritto e bene sedente, di comune forma, bocca picciola e bene fatta, le braccia colorite, li denti bene ordinati, di colore d'avorio con alquanto splendore, il collo diritto, lungo e coperto, bianco come neve, la gola pulita, stesa sanza apparenza, ben fatta nel petto e nelle spalle, le braccia lunghe e bene fatte, le mani bianche e stese, morbide essoavi, le dita lunghe, tonde essottili, l'unghie chiare e colorite, il pié piccolo e ben calzante e snello, bello portamento e umile riguardo, grazioso e di buon'aria, franca eccortese.

Quando Paris venne alla festa con così nobile compangnia ed arnese, come detto è, ciascuno andò a vederlo, sicché la novella venne infino alla reina Elena ed ella si rivolse verso quella parte e vidde Paris molto umilemente venire con sua compangnia. Veggiendo Paris la reina Elena, sì andò verso lei e salutolla dolcemente eccon onesto atto, e quella in tal maniera rispuose al saluto, eppoi che cortesemente ebe risposto, sì domandò chi elli era e onde venia. Ed elli li disse il nome e illingniaggio ella cagione della sua venuta, avengnia che elli non dicesse lo 'ntendimento suo, ma disse che venuto era a quello luogo per divozione ed onore della dea Venus. Ella reina disse : « Sengnore, buona orazione possi tu fare, elli dii ella deessa intendano e mettano inneffetto tua volontade. E certo se 'l mio sengniore fosse a questa festa, io penso che elli farebbe avvoi tutti onore, esse d'alcuna cosa ti bisongna, avengna che 'l mio sengniore non sia nel paese, sissara' fornito liberamente e di buono volere ». Della qual cosa Paris le rende grazie e delle sue ricchezze le proffere collargo animo. A.presso cioè si partie Paris, preso e accieso d'amore della bella accolglienza e oferta della reina Elena, avengna che ella non rimanesse meno ardente dell'amore di lui.

Paris s'inginocchiò dinanzi all'altare della dea pregandola chelli renda sua promessa, che venuto è luogo e 'l tenpo. Ecciò detto sì fecie senbianti di volere tornare alle navi e navicare verso Grecia e prese conmiato dalla reina Elena. Poi tornò alle navi molto isnello con la sua compangnia e presero consilglio di rubare il tenpio e di rapire Elena. Il qual consilglio preso, s'armaro vistamente, e anzi chella luna si levasse furono tutti armati e ordinati e quetamente vennero al tenpio anzi che nullo se ne prendesse guardia, ellà ordinaro cento cavalieri alla guardia, acciò che nullo ne potesse uscire e nel tenpio n'entraro quattrocento, i quali rubaro quanto chennel tenpio era prezioso. Paris andò alla reina Elena e quelli che difendere la voleano morti furo. Poi ne menò lei, poi le disse umilemente ecco lieto volto : « Madonna, se vi piaciesse, io mi prometto al vostro piaciere come vostro cavaliere e leale amante ». La reina rispuose : « La forza è tua ». E Paris di ciò le rende grazie e presela per mano eccon sua conpangnia la condusse infino alle navi e poi tutta la preda del tenpio e delle gienti che dentro erano. Cierti greci cheffuggiro infino ad uno vicino castello, che ivi presso era, contarono ciò che avenuto era. Dire non si potrebbe come isnellamente e tosto quelli del castello furono armati e trovarono una parte de' Troiani carichi di prede e lassi ; sì percossero alloro e molti n'uccisero. Ma quelli delle navi udirono il grido ; siccorsero isnellamente al soccorso e riccolsero loro giente con grande danno de' nemici, e trassersi alle navi. Poi levaro le vele al vento e non finarono di navicare infino attanto ch' elli furono ad una giornata presso a Troia, ellà soggiornarono una settimana. E intanto mandò Paris una galea armata verso Troia per contare arre Priamo loro tornata. Giunta la novella a Troia, maravilgliosa allegrezza ebbe nella cittade, ma Casandra e Deifebus e spezialmente Casandra cominciò affare si grandissimo pianto e menare sì smisurato dolore, che nullo la potea appaciare. Ella gridava come arrabbiata, scapilgliata, piangiendo e diciea : « Ora s'apressa il dolore, il tormento, l'angoscia, lo struggimento, la mortale uccisione del lengniaggia di Dardano e della ricca cittade di Troia. A mortale dolore si vedranno uccidere, elli belli alberghi abbattere, e le forti mura distruggiere, le ricchezze consumare e le donne vituperare, le pulcielle sforzare e li vecchi talgliare. Ahi malaventurosa cosa è questa a pensare: giente, di vostra morte fate allegrezza; voi siete similglianti al ciecero(=cigno, ndr), che più gioiosamente canta quando viene al suo fine; fuggite, giente, fuggite ahi miseri; li dii non v'amano tanto che non ciessino di tal vita lasciarvi menare ». I[r]re Priamo silla fecie mettere innuna scura volta, acciò che il suo tristo annunzio non fosse dalla giente udito né veduto.

Veggiendo Deifebus la grande allegrezza cheffacieano i Troiani, e udendo la maniera checCassandra tenea, disse : « Pesami, che ararne è palese il doloroso avenimento, ma perch' io ò partecipato agli onori del mio padre e alle ricchezze, io voglio participarmi all'aversitadi : colgli miei volglio vivere e morire, e volglio fare tale contezza, quale fanno egli, che del tenpo che è avenire nulla veggiono ». A tanto giunse Paris essua compangnia, ella reina Elena insieme collui. Irre Priamo ella reina Ecuba, i filgliuoli elle filgliuole elli bastardi, tutta la baronia e grandi e piccoli della città gli andarono all'ancontra con maravilgliosa festa e allegrezza. Poi a grandissimo onore sposò Paris Elena. Dopo lunga festa furo li baroni acconsilglio ed ordinaro di guernirsi e di stare intenti, consappiendo chelli Greci verranno per tale onta vendicare. Poi cheffurono di ciò che bisongniava guerniti, errecato allaccitade dentro quello che bisongnìa e irrimanente arsero e strussero. Uno re, il quale avea nome Lernesio, domandò arre parola di potere con sua compangnia andare alla guardia d'uno suo forte castello, che era presso alla cittade a venti milglia ed era in sul passo de' nemici: al quale gliene diede parola. Questo Lernesio fue padre della pulcella Criseis, la quale Accilles rapio.

La novella fue saputa per Grecia come Paris avea rapita Elena errubato il tenpio di Venus e morte le giente del castello. Irre Menelao fue tornato e trovò chella molglie gli era stata tolta, della qual cosa elli si dolse con gientili uomini del paese, i quali promisero tutti insieme d'andare sopra a Troia ad oste.

Elena avea due bellissimi fratelli e d'una similglianza, arditi eccavallerosi, i quali incontanente chesseppero che Elena fue rapita si misero in mare con grande compangnia in tal punto che poi di loro non fue novella saputa ; onde li Greci furon fortemente crucciati. L'uno de' detti fratelli avea nome Castor ell'altro Polus. Gli altri baroni di Grecia presero un die diterminato nel quale dovessero muovere; onde con grande compangnia e bene armati mossero il detto die ; tralli quali vi fue il re Agamenon, il re Teseus, il re Ulixes, il re Diomedes, il re Talamone, il re Tideus, il duca Accilles e il suo caro compangnio re Patricolus e il re Menelao, marito della bella Elena, e Deomonson e il re Aiax ell'orgolglioso Maccareo e il re Iolo e il grosso Proteselao ell'ardito Danaus e Protinus e Corintius e Acuntius, Meleander e Calculus, con tutti li gientili uomini di Grecia. Agamenon era bello uomo e di bello tenpo, molto fiero e molto savio; effue il più ricco e poderoso d'avere e d'amici che fosse in tutta Grecia e di maggiore seguito. Ulixes fue ricco re effu nero, barbuto e piloso, grosso eccorto efforte, savio e sottile, effue il più bello parladore chell'uomo sapesse. Diomedes fue bello, grande e formato, orgolglioso e amoroso. Texeus fue bello e ben fatto d'inbusto e di menbra: questo fue quello che diliverò l'assedio da Tebe. Diomedes fue grande compangnio di questo Texeus a molte terre conquistare e guerre vincere. Elli fu quelli che per sua vertù col consilglio d'Adriana canpò dal Minotauro della magione di Dedalus. Accilles fue bello, forte, bruno e di corpo ben fatto, né grasso, né magro e maravilgliosamente fue buono cavalcatore; effue quello cheffue più bello innarmi ; Talamone fue grosso, tondo e grasso efforte ; molto fue ricco e rigolglioso. Patricolus fue bellissimo, biondo, ricciuto, bianco e vermilglio, prode e ardito. Menelao fue bello, ricchissimo, giusto e di bonare, sottile e ingiengnioso. Nestore fue prode, forte e ardito e grandissimo di corpo, sicché tutti li baroni di Grecia sopragiudicava dalle ispalle in suso, essì era bene così grande d'animo e di senno. Effurono due Aiax, [l'uno] fue filgliuolo della serocchia di Laomedon, serocchia derre Priamo, quella che Antenore andò arrichiedere da parte del re Priamo infino in Grecia, la quale non volle essere renduta; l'altro Aiax fue prode, ardito, il quale volle avere l'armi d'Accilles, malgrado d'Ulixes, eccontro allui se ne volle combattere corpo accorpo, avengna che Ulixes l'avesse per suo maestrevole parlare. Proteselaus fue bellissimo in sua giovanezza ; ma aqquel tempo elli era sì grasso chennullo l'avrebbe potuto avinghiare ; ma molto era ancora fiero, forte e ardito. Tutti Igli altri baroni e lor seguagi furono nobilemente ad arnese. Tanto navicaro che presero porto dinanzi al più bello e ricco castello di Troiani, e (quando) Lernesiio, chessingniore n'era e allora era nel castello, s'apparecchiò di contradiare li nemici siccome ardito e valente, ma Diomedes e Ulixes con loro isforzo per battaglia il presero e vinsero, e poi che Diomedes gli ebbe disarmata la testa e avea la spada già alzata per talgliargl[i]ele, Accilles si misse innanzi eccoprillo collo iscudo eddisse : « Non piaccia addio che elli muoia, cheggià grandi piacieri ò ricievuti dallui ». Eppoi cheddalla morte fue riscosso, sì ebbe tali convenenze colli Greci chella sua terra riconosciesse dalloro, elliberamente darebbe loro l'entrata ecconducerebbe loro la vivanda all' oste. Là soggiornarono tanto li Greci, che uno nobile eppossente re giunse, il quale non potea giungnere insieme colgli altri per la grande multitudine di giente ed arnese, la quale elli conducieva, eppoi che elli fue giunto, soggiornarono alquanto, eppoi sì feciono comune parlamento, ove questo sengniore disse che molto si maravilgliava, che gli Greci non s'erano più avanzati innanzi e bene uno anno erano già stati nelle terre di Troia. « Non avete la cittade assalita; ora sanno li nostri nemici come voi siete qui stati, e ànno avuto ispazio d'avisarsi e di fornirsi contra la nostra forza, essonsi rassicurati e meno ci lottano. Ora mi parrebbe che il difetto si debbia amendare ecche isnellamente corriamo verso la cittade, esseguiamo il pregio de' nostri antichi ». A questo consilglio si tennero, essì tosto come potero si misero in mare, ella prima nave che mosse fu quella derre Patricolus e non fìnarono infino a tanto ch'elli furono dinanzi al porto di Troia. Grande maestria convenne contro alli grandi lengni aguti, li quali li Troiani aveno fìtti nel porto per contradire le navi ; ma tanto feciono per ingiengno e per forza che elli arrivarono assalvamento.

Quando li Troiani videro le navi al porto corsero all' armi e uscirono fuori della cittade schierati e acconci per contradire la venuta di Greci. Patricolus essua giente ricievettero il primo assalto e maravilgliosamente sofersero grave fascio eccon molto ardire e con vertù sostennero; ma non poterono [so]stenere contro alla grande multitudine di Troiani; siffurono sconfìtti. Ma Diomedes giunse al soccorso, che molto gli sostenne, e cominciò a prendere terra contro alli Troiani. Enea e Deifebus, Filimenis e Troilus usciro della cittade e nobilmente armati con serrate ischiere assalirono li Greci e pinselgli infìno alla riva. Contro gli quali giunse Tideus con forte e bella gente, ecco molta fatica oltre il grado de' Troiani prese porto. Là ricominciò fiero stormo, tale che irromore che era in sue la riva risonava per tutta la cittade. Ettor con nobile giente uscì tutto armato della cittade con nobile compangnia e giunse alla battalglia. Quando Patricolus lo vidde venire così nobile, si domandò chi elli era; risposto gli fue che elli era Ettore. Patricolus rispuose chellui assalire gli potea cresciere lode e pregio. Addunque mosse Patricolus il cavallo contro allui e bassa la lancia e percosse Ettor sopra lo scudo d'oro, ov'era uno leone azzurro. Ettor fue forte e sostenne lo colpo sanza muoversi tanto o quanto, ella lancia si ruppe in piue pezzi. Ma Ettor diede lui si forte colpo che nè scudo, né arme non potè sostenere lo talgliente ferro, che oltre per lo fianco gli passò il cuore ; onde Patricolus cadde morto atterra. Ora è cominciato il pericoloso assalto, innarrata è la mortale distruzione, scoperto è il tristo annunzio. Come Patricolus fue alla terra versato, Ettor pugna contro li Greci, i quali non poteano sostenere l'assalto, anzi si trassero imfino in sue la riva, ove gli Troiani gli uccideano eddamaggiavano sanza rimedio. Addunque giunse Ulixes e il re Serses e Accilles e per forza presero porto assai eppiù leggiermente che gli altri, che prima aveano preso porto, perciò che quelli che innanzi erano sciesi, sosteneano l'assalto de' nemici in sue la riva. Chi avesse veduto Ettor percuotere intra li nemici, a maravilglia lo terrebbe. Cierto egli faciea quello checcorpo umano non dovrebbe potere sostenere. Si tosto come Accilles fue della nave iscieso, si udi dire come Patricolus era morto, onde elli dolorosamente fue punto di trestizia, e incontanente domandò chi quello danno fatto gli avea. Al quale risposto fue checciò avea fatto il valente e vertuoso Ettor. Accilles pieno d'ira mosse il cavallo contra Ettor colla lancia sotto il braccio et Ettor si dirizzò contro allui e diedersi delle lancie sopra gli scudi. Ma Accilles nonna trovato quello che pensava, che per lo colpo nollo mosse se non siccome posto l'avesse a una torre; ed Ettor diede lui, effeciegli per lo colpo votare amendue le staffe, ecconvenne checcolle braccia s'attenesse al collo del distriere. Quando gli Greci viddero ciò, non attesero la battalglia delle spade; per temenza d'Accilles, sì soccorsero tutti alla riscossa d'Accilles e quando Accilles fue riscosso dalle mani de Ettor, cominciò affare crudele uccisione de' Troiani, ma non tale che Ettor nolla faccia maggiore di Greci. Tanto si combatterono in su la riva, che 'l dì si partì e per la scurità della notte convenne chelli Troiani tornassero alla cittade; i quali con grande baldanza e allegrezza tornarono, elli Greci rimasero sbigottiti e affannati. La notte arrivaro al porto tutti quelli Greci che giunti non v'erano, e parte di loro guardaro armati, elgli altri intesero addirizzare loro tende elloggiarsi in su la riva. Ella mattina al punto del die tutti armati furono al padilglione d'Agamenon e là tenerono grande parlamento, ove molto fue detto della prodezza del forte Ettor. La fine del loro consilglio fue di domandare triegue, ella cagione di triegue domandare pensarono gli anbasciadori, ciò fue Ulixes e Tedeus, i quali con nobile conpangnia andaro verso laccittà, ettrovaro cheggià era armato Ettor, Troiolus e Deifebus e Filimenis e grande giente de' Troiani per uscire per la porta di Marte, e per l'altra porta de costa Eneas, Toas il vecchio, Cassibilante e il bello Paris elli bastardi tutti insieme con ventimila coverture di ferro. Ma quando le guardie scorsero gli anbasciadori che venieno con rammi d'ulivo in singnifìcanza di pacie, fecero alli baroni di Troia sengno di ciò, i quali si ritrassero alla terra e snellamente si disarmaro; poi andarono in Ilion per udire l'anbasciata. Gli anbasciadori entrano nella terra per la porta di Cereris e molto si maravilgliano della forte grandezza e nobiltà della cittade. Quando furono dinanzi al re Priamo, Ulixes cominciò a parlare e disse : « Re Priamo, io ti fo assapere che alla riva del porto sono tutti li nobili prenzi di Grecia elli gientili uomini commaravilgliosa forza e volontà di battere lo tuo orgolglio, e prendere vendetta dello oltraggio chettu elli tuoi loro avete fatto. E sappi checciò averrà settu per senno nolgli muovi a pietà per saddisfazione d'ammenda; ciò è in rendere Elena e l'oltraggioso alla volontà di tutti li baroni di Troia, ettu com pietoso prieghiero bangni di lagrime la terra dinanzi alli loro piedi. E cierto io non sono qui per pregarti checciò facci, che troppo piacierà più alli Greci di vedere loro fiera vendetta che d'avere l'amenda sanza mostrare loro forza. Ora ti dirò perchè io sono qui venuto. Sappi chelli Greci sono cierti della vettoria contro atte; ma perciò che elli non volgliono loro messe fare se non accierto termine di loro reddite, sì volgliono mandare alli tre dii dell' isola di Bellide affare sagrifici e offerende per udire cierta risposta infra quanto tenpo la città sarà presa: si dimandano triegue infino a tanto che quelli che portano l'offerende siano tornati. Triegue non debbono essere vietate, però che ispesso serà mestiere domandarle voi e di ciò ne rispondete quello chenne credete fare ». Il re Priamo disse che elli andassero all'albergo e si posassero ed elgli sopra la loro anbasciata si consilglierebbe e avrebbero diliberata risposta. Ulixes disse : « Noi ci trarremo da una parte e vo' vi comsilgliarete, che assa' liberamente ci potete rispondere, che qui non falla buono consilglio, ennoi nonnavemo intemdimento di qui soggiornare, chelle nostre tende sono presso di qui ». « Ciò ci piace », disse il re Priamo. Innuna nobile camera furono menati gli anbasciadori di Grecia, e il re Priamo prese consiglio. Il primo dicitore fue Ettor e disse cosi : « Sengnore, li Greci addomandano triegua per lo loro acconcio elloro inforzare, che bisongnio n'ànno. Esse il bisongnio non vi fosse, già per cagione che dicano nonnaddimanderebono triegue ; perciò dico che triegue non siano lor date, esse elgli sono lassi ettravalgliati, noi gli dovemo fieramente assalire, essovente dammaggiare, acciò chennoi gli possiamo disavanzare ». Poi parlò il vecchio Antenor e disse : « Anzi che questo diparta, averrà che di nostri più cari saranno morti e presi, esse triegue non si domandassero, non potremmo le corpora riavere e apresso noi saremo serrati qua entro, che poco sarebbe là nostra difesa pregiata, perch' io priego chelle triegue sieno ottriate ». A questo consilglio si tennero tutti ed egli rispuose algli anbasciadori effermaro le triegue due mesi. Gli anbasciadori riportaro alli Greci le novelle, onde della cortesia di Priamo si lodaro e della sua fierezza sbigottiro, e della maravilglia, dell' avere e delle fortezze che gli anbasciadori videro nella cittade raccontarono alli Greci. Quando furono al cierlo delle triegue sissi cominciaro ad aloggiarsi ed afforzaronsi di fossi e di steccati e di pozzi e di ciò che attale affare si comvenia. Poi soppellirono il corpo derre Patricolus a grande onore ; poi presero consilglio d'andare nell'isola de' dei affare sagrifici e doni, tanto cherrisposto avessero della fine della loro inpresa ; alla quale cosa fare allessero Accilles, Diomedes e Ulixes. Li Troiani si consilgliaro di mandare nella detta isola per lo detto Antenore e acciò s'accordarono tutti e mandaronvi il vescovo Toias, che era uno savio vecchio, col quale andò Ettor e il bello Pollidamas, il fìlgliuolo del vecchio Antenore. E il die checcostoro giunsero nell'isola, si vi trovarono li Greci cheggià aveano sacrificato agli dii effatte maravilgliosamente ricche offerende, e incontanente li Troiani feciero lo somilgliante. Tutta la notte furono ad orazioni, ell'una ell' altra parte. La mattina al tempo del die ebbero risponso dalgli dii in questo modo : « Singniori di Grecia, ciò dicono gli dii del cielo che intra qui a dieci anni per la potenzia e per lo isforzo di te, Acciles, sarà la città di Troia presa e distrutta sevvoi manterete l'assedio, e tutti li dii vi comandano, i quali i secreti distini conducono, che voi non siate arditi di partirvi dall' assedio, né voi né gli altri Greci, chella cosa avete cominciata. Conciò sia cosa chesse voi ve ne partite anzi chella cittade sia presa, tutti gli distini si cruccieranno contro a voi. E a voi di Troia dico [che] la vostra difesa non varrà nulla, che alla fine vi converrà perdere, e bene che voi vi voleste rendere nol sofferrebbe il distino ; ettu, antico Toas, chesse' savio essottile, io ti comando da parte di tutti gli dii e del destino, chettu mai non entri in Troia infìno che ella sia presa e distrutta, anzi ti tieni colli Greci elloro aiuta ecconsilglia e io loro comando che elli ti credano esservano e onorino, che a grande bisongnio verrai loro » ; e qui tacette.

Di questa risposta furono li Greci molto allegri, malli Troiani si sconfortarono molto, ma tanto erano pieni d'ardimento che nullo di loro ne fecie senbiante, se non Toas, il quale pianse e si ramaricò duramente ; elli Greci andarono allui e molto l'onoraro e menarlone colloro. Ed Ettor e Polidamas gli dissero : « Già per uno vecchio, il quale ae le menbra perdute non saremo di minore valore; esse di tutti li suoi pari fossimo diliveri troppo ci pregieremmo meglio ». Apresso queste parole si partirono dell' isola, elli Greci elli Troiani. Grande duolo fecie Toas fra gli Greci, perciò che dipartuto s' era di suo paese per lo mandamento delli iddii. Ma molto il confortarono e onorare li Greci e da quella ora innanzi fecero quelli di Grecia poco onneente sanza lo suo consilglio.

Quando Ettor e Polidamas furono tornati a Troia, ricontaro quello che trovato aveano, e quando Priamo gl' intese, sì bassò lo viso e cominciò a pensare e poi disse : « Facciano li dii quello che vorranno, che in mia vita non farò pacie a mia onta né disinore : troppo val melglio ad onore morire che ad onta vivere. Noi avemo Palladion, che Pallas la dea ci donò e avemo l'aiuto della dea Venus, e avemo con noi Eneas suo filgliuolo e avemo la prima offerenda della dea Diana. Noi avemo contra questa rea risposta quattro benedizioni; ma il malvagio vecchio che dannoi s'è partito, che per sua partita varremo noi troppo meglio ; molto mi pesa che trannoi sia rimaso alcuno di suo lingniaggio ». Queste parole disse irre Priamo contro a Toas per una sua filgliuola, la quale avea nome Briseis, la quale Troilus amava maravilgliosa mente e per quello amore erano li Troiani troppi crucciosi della partita di Toas. Quando Briseis seppe che Toas era andato di verso li Greci ne fecie duolo per senbiante e molto se ne dolse dinanzi arre Priamo. Non guari poi fue Toas ad uno consilglio che gli Greci feciero ; dopo il consilglio gli pregò molto teneramente chella filgliuola fosse richesta alli Troiani, ecciò preso, mandarolla richeggiendo per due anziani cavalieri, Tideus e Ulixes; ma in compangnia di loro, sanza comandamento, si mise uno giovine cavaliere filgliuolo del detto Tedeus, il quale era chiamato Diomedes. Il re Priamo confortava li suo' cavalieri per lo disconforto che elli aveano avuto della risposta delli dii dell'isola e Paris promettea il soccorso della dea Venus. Adunque vennero alla corte i messaggi di Grecia, e dissero al re che gli Greci mandavano per la fìlgliuola del vecchio Toas, la qual cosa molto fue grave a Troilus. Il re rispuose : « Sappiate che io non pregio tanto l'amistà del traditore Toas, che io voglia ritenere alcuna cosa del suo, avengnia che pietà mi prenda della damigiella, ch'è stata intrannoi nodrita e ne' suoi tradimenti nonnà pecca. E perciò che ella è di ragione al comandamento del suo padre, silgliele rendiamo e perchè la donzella s'appaghi piue, sille doniamo termine oggi, sicché ella apparecchi li suoi arnesi e prenda commiato da' parenti e da' vicini ». Gli anbasciadori sì partirono per tornare la mattina per la donzella, la quale quando intese le novelle, siccominciò affare maravilglioso dolore, eccominciossi a scomiatare dalli suoi cittadini co molte lagrime. Questo duolo durò infino alla sera, chettutta la giente fue all'alberghi addormire. E quando furono tutti addormentati, Troilus segretamente andò a vedere la donzella, e tutta la notte stettero insieme braccio a braccio e bocca a bocca. E tutta la notte non si finarono di piangnere senpre pregando l'uno l'altro che il carissimo amore non si dimenticasse tralloro. Con grandissimi sospiri e abbondanza di lagrime disse Troilus alla donzella : « Io ti priego chettu mi guardi lealmente lo tuo amore, con ciò sia che io sia fermo di senpre mantenerlo inverso di te; essettu lo tuo non falsi verso di me, mai nulla altra amerò, però cheppiue saroe tuo chemmio. Esse questa guerra finiscie e io rimangnio in vita ettutti mantieni leale verso di me, tu avrai me e quanto che io avrò di podere ». Eccosì le promise, ella pulciella promise lui fede e lealtade. Al punto del dì Troilus si partì segretamente, ella pulciella si levò e apparecchiossi orrevolemente. Al punto del die Ulixes e Polipom e Diomedes vennero per la donzella, la quale alloro fue data. Si tosto come li Greci furono fuori colla donzella, Diomedes la richiese d'amore, la quale sanza alcuno detto gli ebbe promesso e donolgli uno anello che Troilus l'avea donato. Ecciò vide uno ragazzetto che Troilus avea mandato, lo quale la pulcella non conoscieva, per sapere come ella si contenesse. Ma la donzella credeva che elli fosse valletto di Greci, elli Greci credeano ch' elli fosse a servigio della pulciella, e perciò capea in tralloro, il quale avea nome Forolus. Grande duolo fecie Troilus quando il garzone gli apportò la contezza elle novelle di Briseis. Malle donne elle donzelle di Troia n'ebbero grandissima vergongnia di così piccola fermezza, come ella avea mostrata, ellasciato l'amore di così grande e valente e alto giovane per uno nemico forestiere.

Conpiuto è il termine delle triegue. Li Troiani usciro fuori alla battalglia contra li Greci. Alcuna volta ànno li Troiani il milgliore della battalglia, ma ispesso sono vinti gli Troiani, quando aviene che Ettor nonnesca alla battaglia. Esse non fosse Accilles che alquanto contastava Ettor, di vero li Greci nonnavrebbero innalcuno modo durato contro alli Troiani. Truovasi nella vera e perfetta storia che innuno solo die Ettor uccise di sua mano sette re di Grecia sanza gli altri valorosi prenzi e ongnindì erano alla battalglia, se non quando il canpo era sì pieno di corpi morti che per lo puzzo nullo potè durare. Allora prendeano triegue per tanto tenpo chelli morti fossero ragunati e arsi e incontanente ricominciavano le mortali battalglie. Molto si consilgliaro li Greci in che maniera ellino potrebbero uccidere Ettor, e ordinaro di tenersi insieme li più virtudiosi, ettutti ad una essere sopra lui per darli morte. Molto pregiavano tralloro Accilles di quello checcontra Ettor si contratteneva essofferia la sua forza. Sì tosto come le triegue furono fallite, sirricorminciò il pericoloso istormo, ove d'una parte e d'altra conveniva di sostenere tanta mortalità; e grande danno e grande angoscia e grande dolore e grande tenpesta e grande persecuzione avenne in Troia, quando così alta giente e così nobile eccosì valenti cavalieri erano a tanta furia giudicati. Un dì essendo la battalglia di tutti li più valentr di Grecia, (e) andavano caendo Ettor, avengna che in quella compangnia non fosse Accilles. I quali trovarono Ettor di lungi da' suoi molto infra le schiere de' Greci, il quale andava facciendo di loro maravilgliosa uccisione. Uno giovane re di verso oriente, bello e ardito, volonteroso di pregio acquistare, il quale avea nome Polus, si partì della ischiera de' Greci e con la lancia sotto il braccio spronò verso Ettor e fedilo dallato deritto in su le coste, sicché per forza l'abattè dalla sella, della qual cosa Ettor ebbe grande vergongna. Ma di rizzarsi in piede fue molto presto e fedì Polus della spada sopra all'elmo siffieramente, che morto il fecie versare alla terra. Allora tutti li Greci gli spronaro addosso ad uno grido, quale colla lancia e qual colla spada, eccominciaro tutti insieme sopra lui aspro assalto e quelli come fiero e prode mise lo scudo de al dinanzi, e cominc[i]a affedire addestra e a sinestra, ora dinanzi assè, ora si volgiea e menava consì grande romore, che abbattea e uccidea, sicché grande angoscia aveano di sua fiera contenenza. Intorno di sé e' faciea fortezza di cavalieri morti ; sopra lui non si conoscieva insengnia se non sangue di nemici; e quanto piue durava l'assalto, più pareva che vertù gli crescesse. Tanti n'uccise intorno assè, che gli Greci dicieano : « Questi nonnè uomo, questi è Cerbero » ; e dicievano tutti chessè Giupiter propio non vi metta la mano, già per uomo Ettor non fia menato a morte. Allora giunse il bello Filimenis con sua compangnia e percosse infra li Greci, e tanto gli pinse che per forza rimontò Ettor in sul destriere, effaceano maravilgliosa uccisione de' Greci. Quando Menelao vi giunse con grande seguito, Aias giunse dall'altra parte co maggiore compangnia. E veramente li Troiani non avrebbero potuto sostenere se non fosse Ettor, il quale era nel più folto de' nemici, elle piue strette schiere apriva ; fiede, abbatte, uccide, talglia e magangnia. Nullo osava attenderlo, e per la sua vertù li Greci erano molto spaventati. Allora giunse Paris com quattro mila arcieri ; quivi pareva che piovesse saette. Incontra venne Accilles con sua compangnia, poi Antinore e il gientile Polidamas; dall'altra parte poi venne Ulixes, all'ancontra del quale venne Ettor, poi gli anbastardi. Là cominciò una uccisione essì grande struggimento di gentil sangue, che mai no fue tale, nè fia, che quel dì vi morirono cinquanta sette milgliaia di gientili uomini, sanza gli fediti, che poi moriro. E di questa battalglia non si poteo sapere quale n'avesse il migliore, cheggià isconfitta nulla delle parti nolgli partì da battalglia; ma affrontati combattendo, la luce del dì partita, si rimasero di combactere.

La mattina al punto del die s'incontrarono gli anbasciadori troiani colli greci e ciascheduno andava per domandare triegue, tanto che i corpi fossero soppelliti e arsi, elle triegue furono ferme. Allora furono li corpi di coloro che di maggiore nominanza era [no] e d'una parte e d'altra arsi, ella cienere messa in pretiosi vasella e i|r]rimanente arsero essoppelliro. E poi mentre che 'l tempo delle triegue durò, pensaro di riposarsi ed agiare li cavalli e di guerire li fediti e di racconciare l'armi ch'erano dirotte. E anzi chelle triegue fossero finite, venne sì grande fame e caro di vivanda nell'oste chesse guari fosse durata, tutti gli convenia morire e abbandonare l'assedio. Ma Accilles e Aias andarono al singniore di Tenedon, cui Accilles avea già fatto perdonare la vita dal cominciamento di loro venuta, e domandarono soccorso di vettualglia, il quale la fecie cosi piena e abbondevole come fosse mai fatta, checcosì grande oste come era quella di Greci ne fu per quattro mesi bene fornita. Nel campo furo gli Greci spesso apparlamento e ragionavano e ciercavano modo come Ettor fosse morto o preso. Li Troiani dicieano che Ettore era troppo spesso in dubbio e troppo si mettea infra' nemici, ecche la loro salute era sollo illui, eccome elli l'abandonavano troppo. Poi pensavano e dicievano in che modo potrebbero ritenere morto o vivo Accilles, il quale troppo gli gravava, ecche all'ultimo stormo avea morto Gassibilant e malamente avea gravati gli bastardi ; e bene dicieano chesse Accilles e' potessero uccidere, che mai li Greci non terrebbero piazza contra Ettor.

Il termine delle triegue falli. La mattina furono li Greci e Troiani al punto del die armati effurono in sul campo e assalironsi sì crudelmente chennullo potrebbe contare né stimare. Il canpo fue in piccola ora tutto coperto di morti e di magangniati. Troiolus andava fieramente assalendo li nemici; Diomedes cominciò a guardare che tenpesta e che mortalità Troiolus faceva intorno di sé; prese allora una forte lancia e punse lo destriere verso lui e dalli sopra lo scudo. Il giovane, che delle sua venuta non s'era preso guardia, per lo colpo votò la sella. Troilus fue imantanente in piede e mise la mano alla spada e cominciò affare maravilgliosa difesa. Allora giunsero Ettor e Nestor e Polidamas, i quali per forza irriscossero e rimiserlo accavallo, non quello onde abbattuto fue, ma in su un altro ; che il suo avea Diomedes, che molto ne fecie grande festa, e chiamò uno suo donzello e mandollo a Brises, la filgliuola di Toas, « e di' che io l'ò guadangniato e come e daccui e di' ch'io sono essarò sempre suo cavaliere ». Troilus, cheffue rimontato accavallo, andava riciercando le schiere de' Greci effleramente danneggiando e scorse Accilles, il quale struggea ecconfondea e uccidea li Troiani : bassò la lancia e punse contro allui e diegli sopra lo scudo uno maravilglioso colpo. Ma perciò della sella nol mosse e Accilles lo percosse della spada sì fiero colpo, che talgliò l'elmo e 'l bacinetto e della cotenna gli fesse un grande palmo. Ma Filimenis giunse allora al soccorso di Troiolus con sua compangnia, e avrebbero morto o preso Accilles; ma elli volse le redine e ritornò verso i suoi per rilegarli insieme; ma Polidamas punse il cavallo verso Accilles e dielli si grande colpo che 'l cavallo sostenne troppo grande fascio. Ma unque Accilles per lo colpo non si mosse se non come una torre, e Accilles percosse lui d'uno sì grande colpo sopra lo scudo, chellui e 'l cavallo versoe alla terra. Ma Polidamas si dirizza snellamente come buono cavaliere e diede uno colpo ad Acciles sopra l'elmo e il colpo calò giuso in su la testa del distriere si forte, che morto cadde in terra. Acciles mise mano alla spada e mise lo scudo dinanzi e fiede ettalglia e abatte effa piazza intorno asse ; tanto si fa temere chennullo s'osa d'apressare allui. Allora giunse Filimenis con sua conpangnia ettutti gli trassero addosso. Maravilgliosamente gli convenne sostenere grave fascio ; qui non convenne che elgli sia sperduto, che troppo gli sono gli Troiani vicini. Ma Accilles cominciò affare sì grande maraviglia di sé, che tutto intorno facea de' corpi morti. Polidamas e Filimenis l'assalivano sovente ma nol poterono abbattere a la terra. Ahi come sovente chiamavano Ettor dicendo : « S'elgli fosse qui presente ristorata sarebbe la libertà di Troia; elgli fornirebbe tutto quello che noi non osiamo di fare, né di cominciare ». Adunque giunse il re Agamenon e Diomedes e Ulixes con grande compagnia de' Greci, i quali per forza riscossono Accilles e poi che fue rimontato a destriere corse sopra li Troiani. Allora rinforzò l'assalto, che vi giunse Eneas e Nestor, Ettor e li bastardi e il re Cattabus e il re Antinostes e il bello Paris, Telon il grande, Polemon e il re Isdras. Ahi lasso ! Che duro cuore converrebbe avere a ricontare tanta crudeltade e tanta furia e sì crudele uccisione, che tutto dì non fìnarono di partirsi anime da miseri corpi, tanto che la nera notte puose fine al doloroso tormento. Poi che ciascuno fue tornato al proprio albergo, Ettor fue in su la sala dove allui vennero done e donzelle a disarmarlo. Qui fue la pietà grandissima. Ahi quante faccie tenere di donne e di donzelle vi si bagnavano di pietose lagrime! Ahi quante donne e donzelle stavano ginocchione, le mani giunte levate inverso il cielo pregando per la salute d'Ettor ! Per ciò che quasi per ogni malglia d'asbergo gli usciva abbondanza di sangue, e il pugno destro gli era sì enfiato per lo molto fedire e per lo strignere de la spada che non poteva aprire le dita.

Poi che Ettore fue disarmato e suo' fratelli e la multitudine de' cavalieri furono tornati dentro a la città, si fecero serrare le porte de la città con forti serrami e quella notte se riposarono per lo grande travalglio che aveano sostenuto, però che non erano usciti fuori de la città ordinatamente se non come uomini arrabbiati incontro a' loro nemici. Poi che lo dì fu chiaro e bello ed e' fecero i loro morti raunare e ardere e i fediti curare. Ma i Greci che ancora non erano scesi tutti de le loro navi, si iscesero la notte e quello dì. E per meglio sapere quante furono le navi e cavalieri de' Greci si gli conteremo qui.

De re e duchi e baronì, che vennero a la città di Troia e del numero de le loro navi.

Tempo era nel quale la brinata già era spogliata da la sua freddura... ecc. (di qui innanzi abbiamo il volgarizzamento del Ceffi).


Texte italien publié in Testi inediti di storia trojana preceduti da uno studio sulla leggenda trojana in Italia (1887), de Egidio Gorra (1887)


Merci au professeur Francesco Chiappinelli, auteur de l'Impius Aeneas, de nous avoir fourni ce texte.