Ce texte anonyme du XIIIe siècle est une adaptation résumée, en italien, du Roman de Troie de Benoît de Sainte-Maure.
Perciò che sovente ne siamo in materia diremo la
cagione per che Troia fue distrutta. In Grecia fue uno ricco
uomo re, che era chiamato Pelleus, essappiate che elli fue il
padre d'Accilles. Avenne, anzi che Accilles fosse nato, che
questo Pelleus avea uno nepote maravilgliosamente prode e
ardito e di grande sengnioria, del quale Pelleus avea invidia
e paura, avengnia che elgli fosse suo nepote, temendo chesse
elli vivesse chennol gli tolgliesse il reame. E in quel tempo
vivea Ercule il forte. Il nepote di Pelleus, del quale noi
parliamo, avea nome Giason, che molto era bello e pieno di
vertù e avea più tempo che Ercule.
Gianson fue filgliuolo de[r]re Ieson, fratello derre Pelleus,
onde Pelleus tenea li due reami, perciò che Enson era
morto e perciò temea di Gianson. Ercules fue figliuolo
di Giuppiter, uno grande giogante che per sua forza era
chiamato loddio del Cielo. Giason ed Ercule si dilettavano
molto insieme ed erano molto amici e compangni. E in quel
tempo era innuna isola di Colcos uno ricco re, il quale avea
una bella filgliuola, la quale avea nome Medea e non avea
più erede. Il quale pensava di maritarla al più
alto uomo e al più forte e al più prode che
trovar si potesse. Sì fecie chella filgliuola
studiò nell'arte di nigromantia e apresene tanto che
più non se ne potea sapere. A quelli medesimi maestri
che insegnato l'aveano fece fare di tutto suo oro ed avere e
pietre preziose uno montone d'oro, il quale in latino
è appellato velus aureum. Quello tosone d'oro fece
mettere in una bella isoletta di mare, la quale era molto
presso all' isola di Colcos.
E fece per arte di nigromantia che quello montone era
guardato da tori, i quali gittavano per la bocca fuoco
efflamma ; e serpenti e altri incantamenti erano alla
guardia, sicché nullo si potea di quello montone
apressare, che incontanente non fosse morto. E quando
gl'incantamenti furono tutti fatti e formati, irre di Colcos
fece assapere che qualunque potesse quello montone per forza
conquistare, elli gli darebbe la figliuola sua e mezzo il suo
reame. Molti nobili cavalieri di diverse contrade vi periro ;
e certo nullo passava in quella isola che vivo ne tornasse.
Quella maravilglia fue detta e saputa per tutta Grecia. A
queste novelle si pensò irre Pelleus che s'elli
potesse tanto fare che Giason suo nepote volesse andare in
quella isola per lo tosone conquistare, che mai non
tornerebbe, e in tal maniera si disferebbe di lui, e propuose
di conducerlo acciò. Allora ordinò di tenere
nella sua milgliore cittade una grande corte e fece
lungamente festa con tutti li suoi baroni e larghi doni vi
fece e grande spese e al dipartire della corte sì
parlò innudienzia di tutti a Giason e disse :
« Io tengno la terra cheffue di Eson tuo padre, la
quale dee essere tua per ereditaggio, la quale presto sono di
rèndellati, però che omai se' in etade. E
perciò chennullo sia il quale dica chettu non sia
dengno di terra tenere, settu volessi andare acconquistare lo
montone dell'oro nell' isola di Colcos, io ti donerò
assai avere, arme e compangnia e alla tua tornata t'
accrescierei il tuo ereditaggio. Conciò sia cosa che
io sono sicuro chettu il conquisterai e di ciò ti
crescerà grande pregio e lode. E non ti spaventare di
ciò che molti vi sieno periti e di ciò
chefforte cosa è affare, peroe che se questa fosse
cosa la quale catuno oppiue potessero fare, già damme
non avresti consilglio d'andarvi e di ciò pregio non
si aquisterebbe. Ma perciò che grande onore e pregio
ne verrà atte e attutti quelli del tuo lignaggio,
perciò ti priego chettu vi vadi ».
Acciò rispuose Giason e disse : « Segnor
mio, di ciò che voi mi dite io vi rendo grazie e
merciè, sì della promessa essì del
consilglio. Essappiate chennel vostro rengno io non
giacerò più di dodici die anzi ch'io muova per
conquistare lo tosone o io vi morrò. Esse in questa
corte à alcuno valoroso giovane cheffare mi voglia
compangnia, io il ne richeggio e prego ».
Acciò si proferse Ercules e Meleagier e più
altri giovani cavalieri e donzelli. Incontanente i[r]re
Pelleus fecie loro apparecchiare tutto lo suo tesoro ed armi.
E dipartita la corte, Giason fece apparecchiare una bella
nave e fornilla di ciò che attale compangnia si
comvenia.
Molti sono che dicono che Giason fue il primo uomo che
entrò innalto mare. E siccome elli ella compangnia sua
furono innalto mare, silli prese una forte tenpesta che molto
gli menò per diverse contrade. Ma poi che il mare fue
appaciato, silli portò fortuna al porto di Troia,
della quale città era chiamato il re Laomedon ed era
molto innanzi di tenpo. Il quale avea uno fìlgliuolo
che era chiamato Priamus, che era coronato d'uno grande
rengno per la forza Laomedon, ed era in quello reame in quel
tenpo che Giason arivò colla sua conpangnia al porto
di Troia a guerreggiare uno forte castello, il quale egli
avea preso e ritornava a Troia con bella compangnia. Poi che
Giason essua compangnia furono arivati, si uscirono della
nave nobilemente vestiti e parati e prendeano aria ed agio
siccome gente affannata del tormento del mare.
E in tale maniera diportandosi, uno grande prenze della
città di Troia con sua compangnia andava affalcone e
vidde gli Greci alla marina che detta avemo in sue la riva. E
in quel tenpo erano li Greci di tanta nominanza chettutte le
contrade intorno di loro aveano soggiogate, onde molto erano
temuti. Quando quel sengniore di Troia gli vidde,
incontanente si tornò in Troia al palagio di Laomedon
e disse al re, presente la sua baronia :
« Sengniore, bene avete udito contare come li
Greci conquistano intorno di loro essengnioreggiano, essapete
che [chi] più à piue desidera d'avere. Egli
seguitano la costuma del luccio chettanto mangia di piccoli
pesci chessono intorno di lui, che elli diventa maggiore. Ora
anno li Greci tutto conquistato intorno di loro; si vengono
acconquistare le vostre terre e vannola provedendo là
su la marina, essono più di dugiento de' più
arditi e milgliori di tutta Grecia ». Quando irre
Laomedon intese ciò, sì disse :
« Per folli e per matti gli tengno che i[n] mia
terra sono entrati sanza mia saputa; essappiano che questa
nonne terra da comquistare cosi di leggero come l'altre ;
così siamo noi d'aquistare pregio ellode come sono
elli e forti e ricchi e poco li dee dottare il grande
linguaggio di Dardano ». Allora chiamò irre
uno de' suoi baroni e dissegli che incontanente andasse alla
riva e a quelli gientili uomini che sono venuti di Grecia
dite che non è bello di ciò chessanza mia
saputa egli sono venuti in mia terra e dite loro che
incomtanente si partano, chesse attendono tanto che
rimandarvi mi convengna, e' converrà che se ne partano
ad onta, e detto fue fatto. E quando il messaggio fue giunto
alla riva, domandò quale fosse il sengniore della
compangnia e mostrato gli fue Giason, il quale lo messo
salutò cortesemente e contò loro l'anbasciata
da parte derre. Li Greci si comsigliaro in su ciò,
eppoi rispuosero ; « Direte al vostro sengnore che
grande mercè [gli dobbiamo] della bella accoglienza
cheffatta ci à in sua terra, essappiate chesse elli o
alcuno dassua parte fosse capitato nelle nostre terre, cierto
più onorevolemente l'avremo ricevuto ; mappoi chella
forza nonne ora nostra, si ubbideremo li suoi comandamenti.
Ma noi, chenno arriviamo qui per nullo male fare, avremmo
bene, se per male fare vi fossimo mossi, tanta e tale giente
condotta, che poco pregeremmo sue minacce. E sappie di vero
chesse fortuna ci rimena di là ove noi andiamo, noi il
torneremo a vedere accapo d'uno anno, effaremo nostro podere
di prendere albergo mal suo grado nel piue bello della sua
cittade, e del saluto il quale ci manda nullo bene gli
verrà, e da ora innanzi si guardi di noi e de' nostri
amici ». Adunque si ricolsero alla nave e il vento
die nelle vele che gli pinse innalto mare verso Colcos. Il
messaggio tornò e ricontò a re Laomedon la
risposta di Greci : e il re che poco pregia loro parole
rispuose : « Faccianne il peggio che
possono » ; e già perciò nulle
guerragioni apparecchiò centra ciò.
Tanto navicaro li Greci che elli arrivano all'isola di
Colcos. E quando irre di quella isola seppe la venuta de'
Greci, sì andò loro allo incontro con bella
compangnia e con grande onore e seco menò Medea sua
fllgliuola e menolli nel suo albergo. Irre domandò
quale era quelli chello tosone era venuto a conquistare,
elgli Greci gli mostrano Giason. E[r]re guardando e
imaginando sua forma e sua bieltà, silli disse :
« Giason, mio caro amico, grande dammaggio e
peccato sarebbe sella tua giovanezza perisse di quella morte
cheppiù altri anno sostenuta ; però vi priego
in lealtade e fede chesse tue vuoli del mio avere, chettu ne
tolghi di ciò che mestiere ti sia e quando sarai
soggiornato erriposato al tuo piacere, sì potrete
tornare agli aIberghi vostri ». Queste parole gli
disse i[r]re più volte nella presenzia di tutti li
Greci. Acciò rispuose Giason ch'elli nol pregasse di
suo disinore, che poi che elli avea l'opera intrapresa, egli
la menerebbe affine, quale chella fine fosse. A queste parole
era presente la figl[i]uola derre, cheffisamente rimirava la
bellezza di Giason. E riguardandogli, siggli entrò si
maravigliosamente nel cuore, che al postutto
s'innamorò di lui. E pensavasi che grande danno
sarebbe se elli perisse per si fatta disaventura. Sì
disse che ella vi metterebbe consiglio, che che le ne potesse
avenire. Quello die fue tutto innallegrezza e sollazzo, e
quando fue tenpo d'andare addormire, furono messi in ricche
camere e onorevolmente addormire in bellissimi letti. E
intanto Medea si prese guardia in quale camera e letto dovea
Giason dormire. Eppoi che tutti furono alletto, allora chella
donzella pensò chettutti dormissero, si usci
celatamente della camera e venne al letto di Grason e poi li
disse il suo nome, ecchi ella era, ecche grande pietà
le prendea di lui. Esse elli le volesse promettere e tenere
lealtà, ella gli aiuterebbe a diliverarlo del pericolo
ove egli era entrato e tanto farebbe chelgli aquisterebbe lo
tosone. Giason le rispuose e promisse tanto che Medea gli
diede unguenti, erbe, pietre preziose, incantamenti, sorti e
brievi e diverse gienerazione di cose, per li quali li tori e
gl'incantamenti, che a guardia del tosone erano, si potessero
distruggiere e confondere, e insengnogli come egli ne
lavorerebbe. Ed egli le promise di menàllane in sua
terra e sposerebela e quella notte fece della detta Medea
tutto suo piacere e guardò bene e ritenne ciò
che detto e dato gli avea. La donzella si dipartì la
mattina quetamente dallato a Giason, ed Ercules e gli altri
Greci si levarono. Giason domandò l'arme e armato
entrò tutto solo innuna navicella per andare
nell'isoletta ove era lo tosone per far suo podere di
conquistarlo. Assai il pregarono quelli dell'isola di Colcos
e tutti li baroni del rimanere. Acciò Giason non
intese, massolo nell'isoletta passò. Tanto fece Giason
con sue erbe essorti e con l'armi, chelli tori domò e
ongni incantamento vinse e con lo tosone tornò
all'isola di Colcos. Di ciò si maravilgliò
molto il re ella gente tutta, e ben si pensò il re che
avea dato alcuno aiuto la filgliuola. Ma di ciò non
fece alcuno senbiante e pensossi d'assalire li Greci di nocte
e di torre loro lo tosone. Ma quando irre credette chelli
Greci andassero addormire, ed egli si partirono e portarne lo
tosone e menarne Medea figliuola del re, ecco molta
allegrezza ritornaro illoro terra. Molto fecie il re Pelleus
grande festa al nepote e rendelgli tutta la terra che allui
s'aparteneva.
Quando gli Greci furono alquanto riposati, sissi ramaricaro e
dolsonsi colli loro amici della villania che il re di Troia
avea lor fatta ; della qual cosa tutti li baroni furono
fortemente irati e promisero loro aiuto eccompangnia e
dissero d'andare colloro per vendicare ciò. E sanza
dimoro assenbiaro quanto poterono di giente co maravilglioso
navilio eccon grande forza d'arme e giunsero al porto di
Troia, e quando si faciea die isciesero in terra e montaro
accavallo e andaron verso la città.
E Ercules disse loro : « Sengniori, noi dovemo
sapere chelgli Troiani sono cavallerosa giente e dotta, per
che io lodo chella metade di nostra giente e io colloro
insieme ci ripongniamo nascosamente anzi che quelli della
cittade se n'aveggiano. Ettu, Giason, coll'altra metade, ad
alte grida, a spiegate bandiere andrai verso la terra ; e
quando gli Troiani usciranno fuori e voi lasciatevi cacciare
tanto chennoi entriamo tralloro ella cittade, ennoi poi
correremo verso quella, della qual cosa se troveremo le porte
aperte sì entrerremo dentro e penseremo d'abbattere
irrigolglio de' nemici : esselle porte fieno chiuse
sittorneremo e percoteremo loro addosso ».
Eccosì s'ordinò e fece. Quando gli cittadini
sentirono e videro la giente armata presso della terra, si 'l
fecero assentire al re Laomedon e irre fece armare sua
giente, ed egli medesimo s'armò. Vero è che
irre Priamo nonnera ancora tornato dell'oste ove ito era
colla milgliore e maggiore parte della cavalleria di Troia.
Ma quando il re Laomedon fue armato con quella gente che
nella città era, fece per suo folle ardimento e
orgoglioso cuore aprire le porte della cittade e percossero
a' Greci e quegli gli ricevettono vigorosamente con grande
occisione d'una e d'altra parte. E incontanente che tutti li
Troiani furon tutti della città usciti, anzi chelle
porte fossero richiuse, Ercules ella sua compangnia,
chennascossi erano, entraro nella terra e uccisero sanza
pietà quanta giente vi trovaro. Ma irre Laomedon si
combattea di fuori con Giason vigorosamente, non sappiendo il
grande danno che Ercules faceva dentro nella cittade. Allora
uno cavaliere della cittade venne infine arre Laomedon, ed
era ferito d'una lancia per lo corpo e d'una spada nella
testa e d'una saetta per lo fianco, il cui asbergo era tutto
dirotto e smagl[i]ato, lo scudo squatrato e 'l cavallo
istraccato e lento, e disse forte come egli poteo :
« A[h]i, re Laomedon, in mala ora uscisti oggi
fuori della cittade ! Mai non si ristora il danno che oggi
ài ricevuto: li Greci sono dentro alla cittade,
chettagliano, uccidono e dironpono, ennon risparmiano
né piccolo né grande, vecchio né
femina ». Ecciò diciendo cadde morto
appiè de[r]re Laomedon. Ecciò veggiendo il re,
lo cuore gli afflammò d'ira, di maltalento e di dolore
e fecie le bandiere volgiere verso la cittade. Macciò
non montò guari, che Ercules gli venne allo 'ncontro e
diegli sì grande colpo della spada, che dallo 'nbusto
gli partì la testa. Quando il sengnore fue morto,
piccolo ritengno ebbe sua giente, che quasi tutti fuoro
morti. Or fu laccittà presa, tagliata la giente, le
pulcielle rapite, gli garzoni presi, effue presa la figliuola
derre Laomedon, la quale domandò uno giovane di Grecia
in guiderdone di ciò ch'elli fue lo primo chennella
cittade entrò. Ella gli fue volentieri data, della
quale poi naqque Aiax, che si fue uno valente cavaliere e poi
fece grande danno, avengna chennol dovesse fare, però
che nepote era derre Priamo. In tal maniera fue la prima
volta distrutta la città di Troia.
Quando la cittade fue fortificata e perfetta di ciò
ch' è detto e i[r]re Priamo tenne general parlamento a
trovare il modo della vendetta contra gli Greci
dell'oltraggio ricivuto, e nel consilglio si diliberò
che in Grecia si mandasse nobile, bella essavia anbascieria,
per li quali fosse cortesemente domandata la filgliuola derre
Laomedon essuora derre Priamo, la quale era stata presa ed
era tenuta in servaggio. Ma derre e della giente che morti
erano stati non fecero alcuna menzione e poi chella donzella
sarà dimandata, se renduta sia, basti, e se non, si
rimanga in nuovo consilglio, e preso il consilglio sì
vi mandarono tale che compiutamente per tutta Grecia fecie
l'anbasciata, avengna che non bello vi fosse ricolto, ma
vituperosamente Igli fosse risposto ; onde e' ritornato in
Troia contò in che modo ricevuto era stato, ella
risposta di Greci. Nel tenpo chell'anbasciata e risposta
detta fue in Troia per li detti anbasciadori ecche mandati
furono in Grecia, in quel mezzo Paris, filgliuolo derre
Priamo, era ito a vedere alle sue colture il guernimento suo
e trovò ne' prati sotto una roccia d'accosta a una
chiara fontana uno bellissimo e grasso toro, il quale era
strano della greggia de' suoi, eccon uno de' suoi si
combatteva ; de' quali lungamente durò la zuffa. Paris
stava e guardava li tori sanza giovare o nuocere a nullo.
Alla fine il toro della greggia di Paris fue vinto.
Ciò veggiendo Paris fecie una ghirlanda di fiori e
puosela in capo allo strano toro in sengnio di vettoria, e,
ciò saputo, molto ne fue Paris lodato e tenuto a
giusto. Un altro dì andò Paris accacciare nella
selva, e quando fue il grande calore nel mezzo dì, si
partì Paris da' compangni e andò a una chiara
fontana maravilgliosamente dilettevole ebbene assisa, nel
quale luogo gli uccelli riparavano con dolci canti. Quivi
Paris si riposò ellavò le mani e rinfrescossi
il viso ; poi piegò una sua guarnacca e puosela allato
alla fontana, e posta la guancia sopra la guarnacca
s'addormentò. Un'altra fontana non meno bella di
quella era più presso, alla quale erano venute
addonneare tre dee, l'una delle quali fue madonna Giuno,
l'altra fue madonna Pallas, la terza madonna Venus,
ellà si diportavano, e ragionando intra loro avenne
che nel mezzo di loro cadde una palla d'oro ove era scritto
pulchriori detur, cioè alla più bella sia data.
Quando le dee videro la palla, lette le lettere, ciascuna
disse che allei dovea esser data, assengnando ciascuna
ragioni per sè, e nata tralloro la discordia alla
quale data esser dovesse, l'una di queste dee disse :
« Non è bella cosa che per tale cagione sia
discordia trannoi, ma troviamo alcuno soficiente acciò
giudicare, checciò diffinisca ».
Ecciò accordato intra loro, si mossero a trovare
acciò giudicatore ; e andando per la foresta
s'abbattetero alla fontana ove Paris dormia. Allora disse
l'una all'altra : « Vedete, vedete Paris qui, il
filgliuolo del re Priamo ; piue leale di lui non potremo noi
trovare ed elli il mostrò bene alla battalglia del
toro istrano che vinse il suo, quello che elli ne
giudicò ; epperciò io lodo chennoi ne facciamo
lui giudicatore ». E acciò s'accordaro.
Allora destaro Paris, alle quali elgli fecie maravilgliosa
gioia ed onore. Elle gli comtarono la quistione che
intralloro era e diederli la mela dell'oro e disser chella
desse a quella che allui fosse aviso che più dengna ne
fosse. Madonna Giuno lo pregò molto che allei la
donasse, ed ella gli promise aiuto quante volle bisongno gli
fosse, e al suo soccorso metterebbe tutte le vertù del
cielo. Madonna Pallas gli promise, con ciò sia cosa
che ella sia dea di battalgl[i]e, che gli darebbe senno e
vigore, e mai non sarà che ella non sia al suo aiuto
contro a tutte gente. Madonna Venus, conta e bella, nobile e
piacente, sottrattosa e smovente, gli promise tutta sua forza
e disse : « Paris, settu se' leale uomo, tu mi dei
la mela donare, per ciò che alla più bella
debbe essere data. Settu mi fai ragione io l'avrò,
essettu fai ch'io l'abbia, io ti donerò bello dono.
Ciò fia chettutte le donne chetti vedranno t'amaranno
e qualunque tue vorrai, sitti darò ; e ancora vedi che
io sono la più bella ». Alla fine fecie
tanto che Paris le diede la mela, onde l'altre due dee
n'ebbero grande ira.
Quando gli 'nbasciadori di Troia furon tornati di Grecia,
siddissero al re Priamo lo convenente dell'opera ; onde il re
Priamo fece tutti li suoi baroni ragunare e ricordò
loro l'onta e 'l danno ell' oltraggio che gli Greci aveano
lor fatto, eccome aveano il paese guasto, la cittade arsa,
gli uomini morti, elle loro belle parenti rapite.
« E ora mi diniegano la mia suora, la quale in
servaggio ànno, per le quali cose molto ne dovemo
turbare ne' nostri cuori e prendere vigore e talento di
vendetta. Essopra ciò ne richeggio il vostro
consilglio ». Lo consilglio fue grande e molto si
disse intorno di ciò. Uno barone consilgliò che
il più valente di Troia andasse con grande forza di
gente in Grecia, essi procacciasse di dommaggiare Grecia e di
vendicare la ricievuta onta. « E perciò
chelgli Greci sono fieri e oltraggiosi, quando averanno
ricievuto dànno, si penseranno di ritornare in questo
paese con grande isforzo per vendetta fare. Onde io lodo che
uno valente barone vada per tutte le nostre contrade
sommovendo gente per essere alla difesa di noi in modo che
mattare possiamo l'orgolglio greco ». Onde tutti
s'accordaro a questo consilglio e grande ragionamento v' ebbe
a sciegliere quale fosse suficiente d'andare in Grecia.
Alquanti s'accordaro che Ettor v'andasse per lo vigore che
era illui. Altri il contradiavano però che elli era il
maggiore, per lo dubbio d'esser preso. Casandra, la
filgliuola del re, che molto sapeva d'arti, disse in presenza
di tutti : « Vada in Grecia quale avvoi
parrà chessoficiente sia, ma nel mio dire a postutto
niego l'andata di Paris, perchè io so di vero che se
Paris vi va e tolgl[i]e mogl[i]e di Grecia, ecconviene che
questa cittade ne sia diserta ». Appresso il dire
della donzella si levò uno antico troiano, che bene
avea ciento quaranta anni e disse : « Sengnori, il
mio padre vivette bene treciento anni, e quando elgli venne
ammorte, simmi disse: Filgliuolo, tu vedrai la cittade di
Troia, la più bella, più forte e maggiore del
mondo, e allora era assai piccolo, essi vedrai uno bello
giovane chessarà filgliuolo derre Priamo e
averà nome Paris, il quale se va in Grecia e prende
moglie, di là tutta Troia ne sarà
distrutta ». Poi disse Deifebus filgliuolo derre
Priamo : « Padre essengnore mio, non pensare
perch' io sia prete che io vengna meno a voi o all' aiuto
della vostra cittade : e molto che io non sia cavallerosa
persona, la buona volontade ci [è] pure e al bisongnio
si vedrà. Però dico che Paris non vada in
Grecia, con ciò sia cosa checcome detto è la
città di Troia ne dee essere distrutta e vedrete
disfare e ardere, rubare e uccidere vostra amistà. Non
pertanto mentre che io mi potrò tenere in sella,
già la mia vita non sarà risparmiata contro
annullo dubbio ». Apresso disse Paris così
: « Sengnori, nullo puote andare im Grecia, il
quale possa l'andata meglio fornire di me, con ciò sia
cosa che io ò l'aiuto di madonna Venus, la quale m'
à promesso d'essere al mio aiuto ove il bisongnio fia,
e cierto folle sarebbe chi quest'opera credesse meglio trarre
abbuono fine di me, con ciò sia che io abbia
così fatto aiuto. E io sarei simigliantemente molto da
biasimare se per lo consilglio d'una femina o d'uno vecchio o
di prete lasciassi così fatta inpresa, poi che i'
ò la promessa da quella dea ; ma femina, né
prete non disiderano battalglie. Dunque mandatemi in Grecia,
che io so di vero che io avrò la prima cosa la quale
io domanderò alla dea Venus. E peroe trovate chi sia
quelli che vada sommovendo gente per menare al soccorso e
difesa della cittade, che io mi vo ad apparecchiare e fornire
per mar passare con quella compangnia che bisongnio
fia ». E queste parole dette si partie del
consilglio per fornire la 'npresa. Poi che Paris si fue
partito, istettero gli baroni grande pezza sanza parole dire
e apresso grande pezza parlò il re Priamo in questo
modo : « Poi che Paris ae presa questa sicurtade,
io non ci veggio altro consilglio se non che, poi che andar
vuole, vada da parte di buona ventura, e non ci à
più affare se non di pensare quale sia soficiente
d'andare arrichiedere li nostri amici, che vengnano al nostro
soccorso ». Per consentimento di tutti fu
l'accordo che 'l valente Ettor andasse arrichiedere gli
amici. Il quale richiese amici, parenti essuoi subbietti,
essommosse re, duchi, conti, prenzi, marchesi, primati,
baroni, castellani, visconti, ricchi cavalieri e valenti
donzelli e aprovati sergienti per diverse contrade, tutti
dotti di guerra belli e bene armati, e una parte ne
menò seco ell'altra lasciò che venisse apresso
lui, perciò chesse tutti insieme fosser venuti, no
avrebbe(ro) potuto sostenerli il paese di vettualglia, che
cierto fue giente sanza numero. Quando Paris ebbe le navi
apparecchiate e le vele poste al vento, cominciaro annavicare
verso Grecia com molta volontà e quando furono innalto
mare si scontrarono innuna molto bella nave, nella quale era
il re Menelaon, il quale andava per provedere sue castella.
Da ongni parte aveva quivi orgolglio, si ne' Troiani come ne'
Greci. Elli passarono assai presso, nengià l'una parte
innalcuno modo non disse parola all'altra, bene che gli Greci
conosciessero che elli erano Troiani, e quelli di Troia che
elli erano Greci. Mentre che Paris andava verso Grecia, li
Troiani federo maravilgliosi e ricchi sacrifici, e feciono
nella cittade una maravigliosa chiesa arreverenza della dea
Pallas, acciò che in guiderdone di quella opera ne
renda loro ricco merito. Et ella mandò loro una
bandiera di maravilglioso merito ; nullo sapea giudicare se
ella era di lino o di lana o di seta, ma nullo vide mai
più bella e non si poteo sapere onde ella venne. Ma
bene dicievano li Troiani chedda cielo era venuta, che da
alti venne in su l'altare veggiente tutto il popolo. Apresso
fue una bocie udita diciente : « Madonna Pallas vi
manda questa insengna, essì vi manda che voi la
guardiate innonore erriverenza, che mentre che voi l'avrete
non sarete vinti ». Onde molto si rallegrarono li
Troiani ed ebbervi grande speranza. Molto fue bella e nobile
la città di Troia; ella sengnioreggiava sette reami,
in questo modo che sopra catuna delle sette porte della terra
avea una alta e bella torre co molte altre meno alte torri e
alte mura e forti aggiunte assè. In ciascuna torre
abitava uno re, ella sua baronia era tutta ne' casamenti
giungnenti ad essa.
Tanto navicò Paris essua compangnia, che elli
arrivò in Grecia presso d'uno nobile castello, il
quale era del re Menelao. Di sopra dal castello avea assai
presso uno boschetto, nel quale era uno tenpio di Venere di
grande nominanza e ricchezza pieno, e molto il teneano uomini
effemine della contrada in grande reverenza, e dicienno che
più largamente dava la dea Venus in quel tempo quello
che con reverenza era chesto che innullo altro, e
perciò erano costumati di venire a questa festa la
maggiore parte di Grecia e recavano ricche offerende e grande
oblationi. E Paris arrivò al porto la villa della
detta festa, alla quale era giente sanza numero, ella chiesa
era ornata di nobili addornamenti e ricchi tesori. Paris
uscì della nave conto e nobile eccon ricca compangnia.
Tutti quelli del castello gli si fecero incontro per sapere
chi fosse ; fue risposto : « Questi è Paris
filgliuolo derre Priamo di Troia, il quale viene per
anbasciadore in Grecia ». Paris essua compangnia
passarono oltre per lo castello e passando molto
***andò provedendo. E poi che elli fuoron giunti al
tenpio della dea Venus e viddero le belle offerende elli
belli doni, li quali li Greci facieano ad onore della
dea...
A quella festa era venuta la bella Elena molgl[i]e derre
Menelao, che era de' più alti re di tutta Grecia, la
quale molto avea irriverenza laddea Venus. Quello re che
Paris avea incontrato in mare era il marito della reina
Elena, la quale molto v'era venuta contamente con nobile
conpangnia. Ella fue di bella statura, di convenevole
grandezza, lunga e schietta, convenevolmente carnuta, adatta,
snella, bianca come aliso, pulita come ivorio, chiara come
cristallo e colorita per avenente modo, capelli biondi e
crespi e lunghi, gli occhi chiari, amorosi e pieni di grazia,
bruni di pelo e bassi, le cilglia sottili e volte, il naso
deritto e bene sedente, di comune forma, bocca picciola e
bene fatta, le braccia colorite, li denti bene ordinati, di
colore d'avorio con alquanto splendore, il collo diritto,
lungo e coperto, bianco come neve, la gola pulita, stesa
sanza apparenza, ben fatta nel petto e nelle spalle, le
braccia lunghe e bene fatte, le mani bianche e stese, morbide
essoavi, le dita lunghe, tonde essottili, l'unghie chiare e
colorite, il pié piccolo e ben calzante e snello,
bello portamento e umile riguardo, grazioso e di buon'aria,
franca eccortese.
Quando Paris venne alla festa con così nobile
compangnia ed arnese, come detto è, ciascuno
andò a vederlo, sicché la novella venne infino
alla reina Elena ed ella si rivolse verso quella parte e
vidde Paris molto umilemente venire con sua compangnia.
Veggiendo Paris la reina Elena, sì andò verso
lei e salutolla dolcemente eccon onesto atto, e quella in tal
maniera rispuose al saluto, eppoi che cortesemente ebe
risposto, sì domandò chi elli era e onde venia.
Ed elli li disse il nome e illingniaggio ella cagione della
sua venuta, avengnia che elli non dicesse lo 'ntendimento
suo, ma disse che venuto era a quello luogo per divozione ed
onore della dea Venus. Ella reina disse :
« Sengnore, buona orazione possi tu fare, elli dii
ella deessa intendano e mettano inneffetto tua volontade. E
certo se 'l mio sengniore fosse a questa festa, io penso che
elli farebbe avvoi tutti onore, esse d'alcuna cosa ti
bisongna, avengna che 'l mio sengniore non sia nel paese,
sissara' fornito liberamente e di buono volere ».
Della qual cosa Paris le rende grazie e delle sue ricchezze
le proffere collargo animo. A.presso cioè si partie
Paris, preso e accieso d'amore della bella accolglienza e
oferta della reina Elena, avengna che ella non rimanesse meno
ardente dell'amore di lui.
Paris s'inginocchiò dinanzi all'altare della dea
pregandola chelli renda sua promessa, che venuto è
luogo e 'l tenpo. Ecciò detto sì fecie
senbianti di volere tornare alle navi e navicare verso Grecia
e prese conmiato dalla reina Elena. Poi tornò alle
navi molto isnello con la sua compangnia e presero consilglio
di rubare il tenpio e di rapire Elena. Il qual consilglio
preso, s'armaro vistamente, e anzi chella luna si levasse
furono tutti armati e ordinati e quetamente vennero al tenpio
anzi che nullo se ne prendesse guardia, ellà ordinaro
cento cavalieri alla guardia, acciò che nullo ne
potesse uscire e nel tenpio n'entraro quattrocento, i quali
rubaro quanto chennel tenpio era prezioso. Paris andò
alla reina Elena e quelli che difendere la voleano morti
furo. Poi ne menò lei, poi le disse umilemente ecco
lieto volto : « Madonna, se vi piaciesse, io mi
prometto al vostro piaciere come vostro cavaliere e leale
amante ». La reina rispuose : « La
forza è tua ». E Paris di ciò le
rende grazie e presela per mano eccon sua conpangnia la
condusse infino alle navi e poi tutta la preda del tenpio e
delle gienti che dentro erano. Cierti greci cheffuggiro
infino ad uno vicino castello, che ivi presso era, contarono
ciò che avenuto era. Dire non si potrebbe come
isnellamente e tosto quelli del castello furono armati e
trovarono una parte de' Troiani carichi di prede e lassi ;
sì percossero alloro e molti n'uccisero. Ma quelli
delle navi udirono il grido ; siccorsero isnellamente al
soccorso e riccolsero loro giente con grande danno de'
nemici, e trassersi alle navi. Poi levaro le vele al vento e
non finarono di navicare infino attanto ch' elli furono ad
una giornata presso a Troia, ellà soggiornarono una
settimana. E intanto mandò Paris una galea armata
verso Troia per contare arre Priamo loro tornata. Giunta la
novella a Troia, maravilgliosa allegrezza ebbe nella cittade,
ma Casandra e Deifebus e spezialmente Casandra
cominciò affare si grandissimo pianto e menare
sì smisurato dolore, che nullo la potea appaciare.
Ella gridava come arrabbiata, scapilgliata, piangiendo e
diciea : « Ora s'apressa il dolore, il tormento,
l'angoscia, lo struggimento, la mortale uccisione del
lengniaggia di Dardano e della ricca cittade di Troia. A
mortale dolore si vedranno uccidere, elli belli alberghi
abbattere, e le forti mura distruggiere, le ricchezze
consumare e le donne vituperare, le pulcielle sforzare e li
vecchi talgliare. Ahi malaventurosa cosa è questa a
pensare: giente, di vostra morte fate allegrezza; voi siete
similglianti al ciecero(=cigno, ndr), che più
gioiosamente canta quando viene al suo fine; fuggite, giente,
fuggite ahi miseri; li dii non v'amano tanto che non ciessino
di tal vita lasciarvi menare ». I[r]re Priamo
silla fecie mettere innuna scura volta, acciò che il
suo tristo annunzio non fosse dalla giente udito né
veduto.
Veggiendo Deifebus la grande allegrezza cheffacieano i
Troiani, e udendo la maniera checCassandra tenea, disse :
« Pesami, che ararne è palese il doloroso
avenimento, ma perch' io ò partecipato agli onori del
mio padre e alle ricchezze, io voglio participarmi
all'aversitadi : colgli miei volglio vivere e morire, e
volglio fare tale contezza, quale fanno egli, che del tenpo
che è avenire nulla veggiono ». A tanto
giunse Paris essua compangnia, ella reina Elena insieme
collui. Irre Priamo ella reina Ecuba, i filgliuoli elle
filgliuole elli bastardi, tutta la baronia e grandi e piccoli
della città gli andarono all'ancontra con
maravilgliosa festa e allegrezza. Poi a grandissimo onore
sposò Paris Elena. Dopo lunga festa furo li baroni
acconsilglio ed ordinaro di guernirsi e di stare intenti,
consappiendo chelli Greci verranno per tale onta vendicare.
Poi cheffurono di ciò che bisongniava guerniti,
errecato allaccitade dentro quello che bisongnìa e
irrimanente arsero e strussero. Uno re, il quale avea nome
Lernesio, domandò arre parola di potere con sua
compangnia andare alla guardia d'uno suo forte castello, che
era presso alla cittade a venti milglia ed era in sul passo
de' nemici: al quale gliene diede parola. Questo Lernesio fue
padre della pulcella Criseis, la quale Accilles rapio.
La novella fue saputa per Grecia come Paris avea rapita Elena
errubato il tenpio di Venus e morte le giente del castello.
Irre Menelao fue tornato e trovò chella molglie gli
era stata tolta, della qual cosa elli si dolse con gientili
uomini del paese, i quali promisero tutti insieme d'andare
sopra a Troia ad oste.
Elena avea due bellissimi fratelli e d'una similglianza,
arditi eccavallerosi, i quali incontanente chesseppero che
Elena fue rapita si misero in mare con grande compangnia in
tal punto che poi di loro non fue novella saputa ; onde li
Greci furon fortemente crucciati. L'uno de' detti fratelli
avea nome Castor ell'altro Polus. Gli altri baroni di Grecia
presero un die diterminato nel quale dovessero muovere; onde
con grande compangnia e bene armati mossero il detto die ;
tralli quali vi fue il re Agamenon, il re Teseus, il re
Ulixes, il re Diomedes, il re Talamone, il re Tideus, il duca
Accilles e il suo caro compangnio re Patricolus e il re
Menelao, marito della bella Elena, e Deomonson e il re Aiax
ell'orgolglioso Maccareo e il re Iolo e il grosso Proteselao
ell'ardito Danaus e Protinus e Corintius e Acuntius,
Meleander e Calculus, con tutti li gientili uomini di Grecia.
Agamenon era bello uomo e di bello tenpo, molto fiero e molto
savio; effue il più ricco e poderoso d'avere e d'amici
che fosse in tutta Grecia e di maggiore seguito. Ulixes fue
ricco re effu nero, barbuto e piloso, grosso eccorto efforte,
savio e sottile, effue il più bello parladore
chell'uomo sapesse. Diomedes fue bello, grande e formato,
orgolglioso e amoroso. Texeus fue bello e ben fatto d'inbusto
e di menbra: questo fue quello che diliverò l'assedio
da Tebe. Diomedes fue grande compangnio di questo Texeus a
molte terre conquistare e guerre vincere. Elli fu quelli che
per sua vertù col consilglio d'Adriana canpò
dal Minotauro della magione di Dedalus. Accilles fue bello,
forte, bruno e di corpo ben fatto, né grasso,
né magro e maravilgliosamente fue buono cavalcatore;
effue quello cheffue più bello innarmi ; Talamone fue
grosso, tondo e grasso efforte ; molto fue ricco e
rigolglioso. Patricolus fue bellissimo, biondo, ricciuto,
bianco e vermilglio, prode e ardito. Menelao fue bello,
ricchissimo, giusto e di bonare, sottile e ingiengnioso.
Nestore fue prode, forte e ardito e grandissimo di corpo,
sicché tutti li baroni di Grecia sopragiudicava dalle
ispalle in suso, essì era bene così grande
d'animo e di senno. Effurono due Aiax, [l'uno] fue filgliuolo
della serocchia di Laomedon, serocchia derre Priamo, quella
che Antenore andò arrichiedere da parte del re Priamo
infino in Grecia, la quale non volle essere renduta; l'altro
Aiax fue prode, ardito, il quale volle avere l'armi
d'Accilles, malgrado d'Ulixes, eccontro allui se ne volle
combattere corpo accorpo, avengna che Ulixes l'avesse per suo
maestrevole parlare. Proteselaus fue bellissimo in sua
giovanezza ; ma aqquel tempo elli era sì grasso
chennullo l'avrebbe potuto avinghiare ; ma molto era ancora
fiero, forte e ardito. Tutti Igli altri baroni e lor seguagi
furono nobilemente ad arnese. Tanto navicaro che presero
porto dinanzi al più bello e ricco castello di
Troiani, e (quando) Lernesiio, chessingniore n'era e allora
era nel castello, s'apparecchiò di contradiare li
nemici siccome ardito e valente, ma Diomedes e Ulixes con
loro isforzo per battaglia il presero e vinsero, e poi che
Diomedes gli ebbe disarmata la testa e avea la spada
già alzata per talgliargl[i]ele, Accilles si misse
innanzi eccoprillo collo iscudo eddisse : « Non
piaccia addio che elli muoia, cheggià grandi piacieri
ò ricievuti dallui ». Eppoi cheddalla morte
fue riscosso, sì ebbe tali convenenze colli Greci
chella sua terra riconosciesse dalloro, elliberamente darebbe
loro l'entrata ecconducerebbe loro la vivanda all' oste.
Là soggiornarono tanto li Greci, che uno nobile
eppossente re giunse, il quale non potea giungnere insieme
colgli altri per la grande multitudine di giente ed arnese,
la quale elli conducieva, eppoi che elli fue giunto,
soggiornarono alquanto, eppoi sì feciono comune
parlamento, ove questo sengniore disse che molto si
maravilgliava, che gli Greci non s'erano più avanzati
innanzi e bene uno anno erano già stati nelle terre di
Troia. « Non avete la cittade assalita; ora sanno
li nostri nemici come voi siete qui stati, e ànno
avuto ispazio d'avisarsi e di fornirsi contra la nostra
forza, essonsi rassicurati e meno ci lottano. Ora mi parrebbe
che il difetto si debbia amendare ecche isnellamente corriamo
verso la cittade, esseguiamo il pregio de' nostri
antichi ». A questo consilglio si tennero,
essì tosto come potero si misero in mare, ella prima
nave che mosse fu quella derre Patricolus e non
fìnarono infino a tanto ch'elli furono dinanzi al
porto di Troia. Grande maestria convenne contro alli grandi
lengni aguti, li quali li Troiani aveno fìtti nel
porto per contradire le navi ; ma tanto feciono per ingiengno
e per forza che elli arrivarono assalvamento.
Quando li Troiani videro le navi al porto corsero all' armi e
uscirono fuori della cittade schierati e acconci per
contradire la venuta di Greci. Patricolus essua giente
ricievettero il primo assalto e maravilgliosamente sofersero
grave fascio eccon molto ardire e con vertù
sostennero; ma non poterono [so]stenere contro alla grande
multitudine di Troiani; siffurono sconfìtti. Ma
Diomedes giunse al soccorso, che molto gli sostenne, e
cominciò a prendere terra contro alli Troiani. Enea e
Deifebus, Filimenis e Troilus usciro della cittade e
nobilmente armati con serrate ischiere assalirono li Greci e
pinselgli infìno alla riva. Contro gli quali giunse
Tideus con forte e bella gente, ecco molta fatica oltre il
grado de' Troiani prese porto. Là ricominciò
fiero stormo, tale che irromore che era in sue la riva
risonava per tutta la cittade. Ettor con nobile giente
uscì tutto armato della cittade con nobile compangnia
e giunse alla battalglia. Quando Patricolus lo vidde venire
così nobile, si domandò chi elli era; risposto
gli fue che elli era Ettore. Patricolus rispuose chellui
assalire gli potea cresciere lode e pregio. Addunque mosse
Patricolus il cavallo contro allui e bassa la lancia e
percosse Ettor sopra lo scudo d'oro, ov'era uno leone
azzurro. Ettor fue forte e sostenne lo colpo sanza muoversi
tanto o quanto, ella lancia si ruppe in piue pezzi. Ma Ettor
diede lui si forte colpo che nè scudo, né arme
non potè sostenere lo talgliente ferro, che oltre per
lo fianco gli passò il cuore ; onde Patricolus cadde
morto atterra. Ora è cominciato il pericoloso assalto,
innarrata è la mortale distruzione, scoperto è
il tristo annunzio. Come Patricolus fue alla terra versato,
Ettor pugna contro li Greci, i quali non poteano sostenere
l'assalto, anzi si trassero imfino in sue la riva, ove gli
Troiani gli uccideano eddamaggiavano sanza rimedio. Addunque
giunse Ulixes e il re Serses e Accilles e per forza presero
porto assai eppiù leggiermente che gli altri, che
prima aveano preso porto, perciò che quelli che
innanzi erano sciesi, sosteneano l'assalto de' nemici in sue
la riva. Chi avesse veduto Ettor percuotere intra li nemici,
a maravilglia lo terrebbe. Cierto egli faciea quello
checcorpo umano non dovrebbe potere sostenere. Si tosto come
Accilles fue della nave iscieso, si udi dire come Patricolus
era morto, onde elli dolorosamente fue punto di trestizia, e
incontanente domandò chi quello danno fatto gli avea.
Al quale risposto fue checciò avea fatto il valente e
vertuoso Ettor. Accilles pieno d'ira mosse il cavallo contra
Ettor colla lancia sotto il braccio et Ettor si
dirizzò contro allui e diedersi delle lancie sopra gli
scudi. Ma Accilles nonna trovato quello che pensava, che per
lo colpo nollo mosse se non siccome posto l'avesse a una
torre; ed Ettor diede lui, effeciegli per lo colpo votare
amendue le staffe, ecconvenne checcolle braccia s'attenesse
al collo del distriere. Quando gli Greci viddero ciò,
non attesero la battalglia delle spade; per temenza
d'Accilles, sì soccorsero tutti alla riscossa
d'Accilles e quando Accilles fue riscosso dalle mani de
Ettor, cominciò affare crudele uccisione de' Troiani,
ma non tale che Ettor nolla faccia maggiore di Greci. Tanto
si combatterono in su la riva, che 'l dì si
partì e per la scurità della notte convenne
chelli Troiani tornassero alla cittade; i quali con grande
baldanza e allegrezza tornarono, elli Greci rimasero
sbigottiti e affannati. La notte arrivaro al porto tutti
quelli Greci che giunti non v'erano, e parte di loro guardaro
armati, elgli altri intesero addirizzare loro tende
elloggiarsi in su la riva. Ella mattina al punto del die
tutti armati furono al padilglione d'Agamenon e là
tenerono grande parlamento, ove molto fue detto della
prodezza del forte Ettor. La fine del loro consilglio fue di
domandare triegue, ella cagione di triegue domandare
pensarono gli anbasciadori, ciò fue Ulixes e Tedeus, i
quali con nobile conpangnia andaro verso laccittà,
ettrovaro cheggià era armato Ettor, Troiolus e
Deifebus e Filimenis e grande giente de' Troiani per uscire
per la porta di Marte, e per l'altra porta de costa Eneas,
Toas il vecchio, Cassibilante e il bello Paris elli bastardi
tutti insieme con ventimila coverture di ferro. Ma quando le
guardie scorsero gli anbasciadori che venieno con rammi
d'ulivo in singnifìcanza di pacie, fecero alli baroni
di Troia sengno di ciò, i quali si ritrassero alla
terra e snellamente si disarmaro; poi andarono in Ilion per
udire l'anbasciata. Gli anbasciadori entrano nella terra per
la porta di Cereris e molto si maravilgliano della forte
grandezza e nobiltà della cittade. Quando furono
dinanzi al re Priamo, Ulixes cominciò a parlare e
disse : « Re Priamo, io ti fo assapere che alla
riva del porto sono tutti li nobili prenzi di Grecia elli
gientili uomini commaravilgliosa forza e volontà di
battere lo tuo orgolglio, e prendere vendetta dello oltraggio
chettu elli tuoi loro avete fatto. E sappi checciò
averrà settu per senno nolgli muovi a pietà per
saddisfazione d'ammenda; ciò è in rendere Elena
e l'oltraggioso alla volontà di tutti li baroni di
Troia, ettu com pietoso prieghiero bangni di lagrime la terra
dinanzi alli loro piedi. E cierto io non sono qui per
pregarti checciò facci, che troppo piacierà
più alli Greci di vedere loro fiera vendetta che
d'avere l'amenda sanza mostrare loro forza. Ora ti
dirò perchè io sono qui venuto. Sappi chelli
Greci sono cierti della vettoria contro atte; ma
perciò che elli non volgliono loro messe fare se non
accierto termine di loro reddite, sì volgliono mandare
alli tre dii dell' isola di Bellide affare sagrifici e
offerende per udire cierta risposta infra quanto tenpo la
città sarà presa: si dimandano triegue infino a
tanto che quelli che portano l'offerende siano tornati.
Triegue non debbono essere vietate, però che ispesso
serà mestiere domandarle voi e di ciò ne
rispondete quello chenne credete fare ». Il re
Priamo disse che elli andassero all'albergo e si posassero ed
elgli sopra la loro anbasciata si consilglierebbe e avrebbero
diliberata risposta. Ulixes disse : « Noi ci
trarremo da una parte e vo' vi comsilgliarete, che assa'
liberamente ci potete rispondere, che qui non falla buono
consilglio, ennoi nonnavemo intemdimento di qui soggiornare,
chelle nostre tende sono presso di qui ».
« Ciò ci piace », disse il re
Priamo. Innuna nobile camera furono menati gli anbasciadori
di Grecia, e il re Priamo prese consiglio. Il primo dicitore
fue Ettor e disse cosi : « Sengnore, li Greci
addomandano triegua per lo loro acconcio elloro inforzare,
che bisongnio n'ànno. Esse il bisongnio non vi fosse,
già per cagione che dicano nonnaddimanderebono triegue
; perciò dico che triegue non siano lor date, esse
elgli sono lassi ettravalgliati, noi gli dovemo fieramente
assalire, essovente dammaggiare, acciò chennoi gli
possiamo disavanzare ». Poi parlò il
vecchio Antenor e disse : « Anzi che questo
diparta, averrà che di nostri più cari saranno
morti e presi, esse triegue non si domandassero, non potremmo
le corpora riavere e apresso noi saremo serrati qua entro,
che poco sarebbe là nostra difesa pregiata, perch' io
priego chelle triegue sieno ottriate ». A questo
consilglio si tennero tutti ed egli rispuose algli
anbasciadori effermaro le triegue due mesi. Gli anbasciadori
riportaro alli Greci le novelle, onde della cortesia di
Priamo si lodaro e della sua fierezza sbigottiro, e della
maravilglia, dell' avere e delle fortezze che gli
anbasciadori videro nella cittade raccontarono alli Greci.
Quando furono al cierlo delle triegue sissi cominciaro ad
aloggiarsi ed afforzaronsi di fossi e di steccati e di pozzi
e di ciò che attale affare si comvenia. Poi
soppellirono il corpo derre Patricolus a grande onore ; poi
presero consilglio d'andare nell'isola de' dei affare
sagrifici e doni, tanto cherrisposto avessero della fine
della loro inpresa ; alla quale cosa fare allessero Accilles,
Diomedes e Ulixes. Li Troiani si consilgliaro di mandare
nella detta isola per lo detto Antenore e acciò
s'accordarono tutti e mandaronvi il vescovo Toias, che era
uno savio vecchio, col quale andò Ettor e il bello
Pollidamas, il fìlgliuolo del vecchio Antenore. E il
die checcostoro giunsero nell'isola, si vi trovarono li Greci
cheggià aveano sacrificato agli dii effatte
maravilgliosamente ricche offerende, e incontanente li
Troiani feciero lo somilgliante. Tutta la notte furono ad
orazioni, ell'una ell' altra parte. La mattina al tempo del
die ebbero risponso dalgli dii in questo modo :
« Singniori di Grecia, ciò dicono gli dii
del cielo che intra qui a dieci anni per la potenzia e per lo
isforzo di te, Acciles, sarà la città di Troia
presa e distrutta sevvoi manterete l'assedio, e tutti li dii
vi comandano, i quali i secreti distini conducono, che voi
non siate arditi di partirvi dall' assedio, né voi
né gli altri Greci, chella cosa avete cominciata.
Conciò sia cosa chesse voi ve ne partite anzi chella
cittade sia presa, tutti gli distini si cruccieranno contro a
voi. E a voi di Troia dico [che] la vostra difesa non
varrà nulla, che alla fine vi converrà perdere,
e bene che voi vi voleste rendere nol sofferrebbe il distino
; ettu, antico Toas, chesse' savio essottile, io ti comando
da parte di tutti gli dii e del destino, chettu mai non entri
in Troia infìno che ella sia presa e distrutta, anzi
ti tieni colli Greci elloro aiuta ecconsilglia e io loro
comando che elli ti credano esservano e onorino, che a grande
bisongnio verrai loro » ; e qui tacette.
Di questa risposta furono li Greci molto allegri, malli
Troiani si sconfortarono molto, ma tanto erano pieni
d'ardimento che nullo di loro ne fecie senbiante, se non
Toas, il quale pianse e si ramaricò duramente ; elli
Greci andarono allui e molto l'onoraro e menarlone colloro.
Ed Ettor e Polidamas gli dissero : « Già
per uno vecchio, il quale ae le menbra perdute non saremo di
minore valore; esse di tutti li suoi pari fossimo diliveri
troppo ci pregieremmo meglio ». Apresso queste
parole si partirono dell' isola, elli Greci elli Troiani.
Grande duolo fecie Toas fra gli Greci, perciò che
dipartuto s' era di suo paese per lo mandamento delli iddii.
Ma molto il confortarono e onorare li Greci e da quella ora
innanzi fecero quelli di Grecia poco onneente sanza lo suo
consilglio.
Quando Ettor e Polidamas furono tornati a Troia, ricontaro
quello che trovato aveano, e quando Priamo gl' intese,
sì bassò lo viso e cominciò a pensare e
poi disse : « Facciano li dii quello che vorranno,
che in mia vita non farò pacie a mia onta né
disinore : troppo val melglio ad onore morire che ad onta
vivere. Noi avemo Palladion, che Pallas la dea ci donò
e avemo l'aiuto della dea Venus, e avemo con noi Eneas suo
filgliuolo e avemo la prima offerenda della dea Diana. Noi
avemo contra questa rea risposta quattro benedizioni; ma il
malvagio vecchio che dannoi s'è partito, che per sua
partita varremo noi troppo meglio ; molto mi pesa che trannoi
sia rimaso alcuno di suo lingniaggio ». Queste
parole disse irre Priamo contro a Toas per una sua
filgliuola, la quale avea nome Briseis, la quale Troilus
amava maravilgliosa mente e per quello amore erano li Troiani
troppi crucciosi della partita di Toas. Quando Briseis seppe
che Toas era andato di verso li Greci ne fecie duolo per
senbiante e molto se ne dolse dinanzi arre Priamo. Non guari
poi fue Toas ad uno consilglio che gli Greci feciero ; dopo
il consilglio gli pregò molto teneramente chella
filgliuola fosse richesta alli Troiani, ecciò preso,
mandarolla richeggiendo per due anziani cavalieri, Tideus e
Ulixes; ma in compangnia di loro, sanza comandamento, si mise
uno giovine cavaliere filgliuolo del detto Tedeus, il quale
era chiamato Diomedes. Il re Priamo confortava li suo'
cavalieri per lo disconforto che elli aveano avuto della
risposta delli dii dell'isola e Paris promettea il soccorso
della dea Venus. Adunque vennero alla corte i messaggi di
Grecia, e dissero al re che gli Greci mandavano per la
fìlgliuola del vecchio Toas, la qual cosa molto fue
grave a Troilus. Il re rispuose : « Sappiate che
io non pregio tanto l'amistà del traditore Toas, che
io voglia ritenere alcuna cosa del suo, avengnia che
pietà mi prenda della damigiella, ch'è stata
intrannoi nodrita e ne' suoi tradimenti nonnà pecca. E
perciò che ella è di ragione al comandamento
del suo padre, silgliele rendiamo e perchè la donzella
s'appaghi piue, sille doniamo termine oggi, sicché
ella apparecchi li suoi arnesi e prenda commiato da' parenti
e da' vicini ». Gli anbasciadori sì
partirono per tornare la mattina per la donzella, la quale
quando intese le novelle, siccominciò affare
maravilglioso dolore, eccominciossi a scomiatare dalli suoi
cittadini co molte lagrime. Questo duolo durò infino
alla sera, chettutta la giente fue all'alberghi addormire. E
quando furono tutti addormentati, Troilus segretamente
andò a vedere la donzella, e tutta la notte stettero
insieme braccio a braccio e bocca a bocca. E tutta la notte
non si finarono di piangnere senpre pregando l'uno l'altro
che il carissimo amore non si dimenticasse tralloro. Con
grandissimi sospiri e abbondanza di lagrime disse Troilus
alla donzella : « Io ti priego chettu mi guardi
lealmente lo tuo amore, con ciò sia che io sia fermo
di senpre mantenerlo inverso di te; essettu lo tuo non falsi
verso di me, mai nulla altra amerò, però
cheppiue saroe tuo chemmio. Esse questa guerra finiscie e io
rimangnio in vita ettutti mantieni leale verso di me, tu
avrai me e quanto che io avrò di podere ».
Eccosì le promise, ella pulciella promise lui fede e
lealtade. Al punto del dì Troilus si partì
segretamente, ella pulciella si levò e apparecchiossi
orrevolemente. Al punto del die Ulixes e Polipom e Diomedes
vennero per la donzella, la quale alloro fue data. Si tosto
come li Greci furono fuori colla donzella, Diomedes la
richiese d'amore, la quale sanza alcuno detto gli ebbe
promesso e donolgli uno anello che Troilus l'avea donato.
Ecciò vide uno ragazzetto che Troilus avea mandato, lo
quale la pulcella non conoscieva, per sapere come ella si
contenesse. Ma la donzella credeva che elli fosse valletto di
Greci, elli Greci credeano ch' elli fosse a servigio della
pulciella, e perciò capea in tralloro, il quale avea
nome Forolus. Grande duolo fecie Troilus quando il garzone
gli apportò la contezza elle novelle di Briseis. Malle
donne elle donzelle di Troia n'ebbero grandissima vergongnia
di così piccola fermezza, come ella avea mostrata,
ellasciato l'amore di così grande e valente e alto
giovane per uno nemico forestiere.
Conpiuto è il termine delle triegue. Li Troiani usciro
fuori alla battalglia contra li Greci. Alcuna volta
ànno li Troiani il milgliore della battalglia, ma
ispesso sono vinti gli Troiani, quando aviene che Ettor
nonnesca alla battaglia. Esse non fosse Accilles che alquanto
contastava Ettor, di vero li Greci nonnavrebbero innalcuno
modo durato contro alli Troiani. Truovasi nella vera e
perfetta storia che innuno solo die Ettor uccise di sua mano
sette re di Grecia sanza gli altri valorosi prenzi e
ongnindì erano alla battalglia, se non quando il canpo
era sì pieno di corpi morti che per lo puzzo nullo
potè durare. Allora prendeano triegue per tanto tenpo
chelli morti fossero ragunati e arsi e incontanente
ricominciavano le mortali battalglie. Molto si consilgliaro
li Greci in che maniera ellino potrebbero uccidere Ettor, e
ordinaro di tenersi insieme li più virtudiosi, ettutti
ad una essere sopra lui per darli morte. Molto pregiavano
tralloro Accilles di quello checcontra Ettor si contratteneva
essofferia la sua forza. Sì tosto come le triegue
furono fallite, sirricorminciò il pericoloso istormo,
ove d'una parte e d'altra conveniva di sostenere tanta
mortalità; e grande danno e grande angoscia e grande
dolore e grande tenpesta e grande persecuzione avenne in
Troia, quando così alta giente e così nobile
eccosì valenti cavalieri erano a tanta furia
giudicati. Un dì essendo la battalglia di tutti li
più valentr di Grecia, (e) andavano caendo Ettor,
avengna che in quella compangnia non fosse Accilles. I quali
trovarono Ettor di lungi da' suoi molto infra le schiere de'
Greci, il quale andava facciendo di loro maravilgliosa
uccisione. Uno giovane re di verso oriente, bello e ardito,
volonteroso di pregio acquistare, il quale avea nome Polus,
si partì della ischiera de' Greci e con la lancia
sotto il braccio spronò verso Ettor e fedilo dallato
deritto in su le coste, sicché per forza
l'abattè dalla sella, della qual cosa Ettor ebbe
grande vergongna. Ma di rizzarsi in piede fue molto presto e
fedì Polus della spada sopra all'elmo siffieramente,
che morto il fecie versare alla terra. Allora tutti li Greci
gli spronaro addosso ad uno grido, quale colla lancia e qual
colla spada, eccominciaro tutti insieme sopra lui aspro
assalto e quelli come fiero e prode mise lo scudo de al
dinanzi, e cominc[i]a affedire addestra e a sinestra, ora
dinanzi assè, ora si volgiea e menava consì
grande romore, che abbattea e uccidea, sicché grande
angoscia aveano di sua fiera contenenza. Intorno di sé
e' faciea fortezza di cavalieri morti ; sopra lui non si
conoscieva insengnia se non sangue di nemici; e quanto piue
durava l'assalto, più pareva che vertù gli
crescesse. Tanti n'uccise intorno assè, che gli Greci
dicieano : « Questi nonnè uomo, questi
è Cerbero » ; e dicievano tutti
chessè Giupiter propio non vi metta la mano,
già per uomo Ettor non fia menato a morte. Allora
giunse il bello Filimenis con sua compangnia e percosse infra
li Greci, e tanto gli pinse che per forza rimontò
Ettor in sul destriere, effaceano maravilgliosa uccisione de'
Greci. Quando Menelao vi giunse con grande seguito, Aias
giunse dall'altra parte co maggiore compangnia. E veramente
li Troiani non avrebbero potuto sostenere se non fosse Ettor,
il quale era nel più folto de' nemici, elle piue
strette schiere apriva ; fiede, abbatte, uccide, talglia e
magangnia. Nullo osava attenderlo, e per la sua vertù
li Greci erano molto spaventati. Allora giunse Paris com
quattro mila arcieri ; quivi pareva che piovesse saette.
Incontra venne Accilles con sua compangnia, poi Antinore e il
gientile Polidamas; dall'altra parte poi venne Ulixes,
all'ancontra del quale venne Ettor, poi gli anbastardi.
Là cominciò una uccisione essì grande
struggimento di gentil sangue, che mai no fue tale, nè
fia, che quel dì vi morirono cinquanta sette milgliaia
di gientili uomini, sanza gli fediti, che poi moriro. E di
questa battalglia non si poteo sapere quale n'avesse il
migliore, cheggià isconfitta nulla delle parti nolgli
partì da battalglia; ma affrontati combattendo, la
luce del dì partita, si rimasero di combactere.
La mattina al punto del die s'incontrarono gli anbasciadori
troiani colli greci e ciascheduno andava per domandare
triegue, tanto che i corpi fossero soppelliti e arsi, elle
triegue furono ferme. Allora furono li corpi di coloro che di
maggiore nominanza era [no] e d'una parte e d'altra arsi,
ella cienere messa in pretiosi vasella e i|r]rimanente arsero
essoppelliro. E poi mentre che 'l tempo delle triegue
durò, pensaro di riposarsi ed agiare li cavalli e di
guerire li fediti e di racconciare l'armi ch'erano dirotte. E
anzi chelle triegue fossero finite, venne sì grande
fame e caro di vivanda nell'oste chesse guari fosse durata,
tutti gli convenia morire e abbandonare l'assedio. Ma
Accilles e Aias andarono al singniore di Tenedon, cui
Accilles avea già fatto perdonare la vita dal
cominciamento di loro venuta, e domandarono soccorso di
vettualglia, il quale la fecie cosi piena e abbondevole come
fosse mai fatta, checcosì grande oste come era quella
di Greci ne fu per quattro mesi bene fornita. Nel campo furo
gli Greci spesso apparlamento e ragionavano e ciercavano modo
come Ettor fosse morto o preso. Li Troiani dicieano che
Ettore era troppo spesso in dubbio e troppo si mettea infra'
nemici, ecche la loro salute era sollo illui, eccome elli
l'abandonavano troppo. Poi pensavano e dicievano in che modo
potrebbero ritenere morto o vivo Accilles, il quale troppo
gli gravava, ecche all'ultimo stormo avea morto Gassibilant e
malamente avea gravati gli bastardi ; e bene dicieano chesse
Accilles e' potessero uccidere, che mai li Greci non
terrebbero piazza contra Ettor.
Il termine delle triegue falli. La mattina furono li Greci e
Troiani al punto del die armati effurono in sul campo e
assalironsi sì crudelmente chennullo potrebbe contare
né stimare. Il canpo fue in piccola ora tutto coperto
di morti e di magangniati. Troiolus andava fieramente
assalendo li nemici; Diomedes cominciò a guardare che
tenpesta e che mortalità Troiolus faceva intorno di
sé; prese allora una forte lancia e punse lo destriere
verso lui e dalli sopra lo scudo. Il giovane, che delle sua
venuta non s'era preso guardia, per lo colpo votò la
sella. Troilus fue imantanente in piede e mise la mano alla
spada e cominciò affare maravilgliosa difesa. Allora
giunsero Ettor e Nestor e Polidamas, i quali per forza
irriscossero e rimiserlo accavallo, non quello onde abbattuto
fue, ma in su un altro ; che il suo avea Diomedes, che molto
ne fecie grande festa, e chiamò uno suo donzello e
mandollo a Brises, la filgliuola di Toas, « e di'
che io l'ò guadangniato e come e daccui e di' ch'io
sono essarò sempre suo cavaliere ».
Troilus, cheffue rimontato accavallo, andava riciercando le
schiere de' Greci effleramente danneggiando e scorse
Accilles, il quale struggea ecconfondea e uccidea li Troiani
: bassò la lancia e punse contro allui e diegli sopra
lo scudo uno maravilglioso colpo. Ma perciò della
sella nol mosse e Accilles lo percosse della spada sì
fiero colpo, che talgliò l'elmo e 'l bacinetto e della
cotenna gli fesse un grande palmo. Ma Filimenis giunse allora
al soccorso di Troiolus con sua compangnia, e avrebbero morto
o preso Accilles; ma elli volse le redine e ritornò
verso i suoi per rilegarli insieme; ma Polidamas punse il
cavallo verso Accilles e dielli si grande colpo che 'l
cavallo sostenne troppo grande fascio. Ma unque Accilles per
lo colpo non si mosse se non come una torre, e Accilles
percosse lui d'uno sì grande colpo sopra lo scudo,
chellui e 'l cavallo versoe alla terra. Ma Polidamas si
dirizza snellamente come buono cavaliere e diede uno colpo ad
Acciles sopra l'elmo e il colpo calò giuso in su la
testa del distriere si forte, che morto cadde in terra.
Acciles mise mano alla spada e mise lo scudo dinanzi e fiede
ettalglia e abatte effa piazza intorno asse ; tanto si fa
temere chennullo s'osa d'apressare allui. Allora giunse
Filimenis con sua conpangnia ettutti gli trassero addosso.
Maravilgliosamente gli convenne sostenere grave fascio ; qui
non convenne che elgli sia sperduto, che troppo gli sono gli
Troiani vicini. Ma Accilles cominciò affare sì
grande maraviglia di sé, che tutto intorno facea de'
corpi morti. Polidamas e Filimenis l'assalivano sovente ma
nol poterono abbattere a la terra. Ahi come sovente
chiamavano Ettor dicendo : « S'elgli fosse qui
presente ristorata sarebbe la libertà di Troia; elgli
fornirebbe tutto quello che noi non osiamo di fare, né
di cominciare ». Adunque giunse il re Agamenon e
Diomedes e Ulixes con grande compagnia de' Greci, i quali per
forza riscossono Accilles e poi che fue rimontato a destriere
corse sopra li Troiani. Allora rinforzò l'assalto, che
vi giunse Eneas e Nestor, Ettor e li bastardi e il re
Cattabus e il re Antinostes e il bello Paris, Telon il
grande, Polemon e il re Isdras. Ahi lasso ! Che duro cuore
converrebbe avere a ricontare tanta crudeltade e tanta furia
e sì crudele uccisione, che tutto dì non
fìnarono di partirsi anime da miseri corpi, tanto che
la nera notte puose fine al doloroso tormento. Poi che
ciascuno fue tornato al proprio albergo, Ettor fue in su la
sala dove allui vennero done e donzelle a disarmarlo. Qui fue
la pietà grandissima. Ahi quante faccie tenere di
donne e di donzelle vi si bagnavano di pietose lagrime! Ahi
quante donne e donzelle stavano ginocchione, le mani giunte
levate inverso il cielo pregando per la salute d'Ettor ! Per
ciò che quasi per ogni malglia d'asbergo gli usciva
abbondanza di sangue, e il pugno destro gli era sì
enfiato per lo molto fedire e per lo strignere de la spada
che non poteva aprire le dita.
Poi che Ettore fue disarmato e suo' fratelli e la multitudine
de' cavalieri furono tornati dentro a la città, si
fecero serrare le porte de la città con forti serrami
e quella notte se riposarono per lo grande travalglio che
aveano sostenuto, però che non erano usciti fuori de
la città ordinatamente se non come uomini arrabbiati
incontro a' loro nemici. Poi che lo dì fu chiaro e
bello ed e' fecero i loro morti raunare e ardere e i fediti
curare. Ma i Greci che ancora non erano scesi tutti de le
loro navi, si iscesero la notte e quello dì. E per
meglio sapere quante furono le navi e cavalieri de' Greci si
gli conteremo qui.
De re e duchi e baronì, che vennero a la
città di Troia e del numero de le loro navi.
Tempo era nel quale la brinata già era spogliata da la
sua freddura... ecc. (di qui innanzi abbiamo il
volgarizzamento del Ceffi).
Texte italien publié in Testi inediti di storia trojana preceduti da uno studio sulla leggenda trojana in Italia (1887), de Egidio Gorra (1887)
Merci au professeur Francesco Chiappinelli, auteur de
l'Impius
Aeneas, de nous avoir fourni ce texte.